Discorso sull'indole del piacere e del dolore/III

Il piacere morale è sempre preceduto da un dolore

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Il piacere morale è sempre preceduto da un dolore
II IV

Dunque il piacer morale nasce dalla speranza. Cos’è speranza? Ella è la probabilità di esistere meglio di quello che ora esisto. Dunque speranza suppone mancanza sentita d’un bene. Dunque suppone un male attuale, un difetto alla nostra felicità. Dunque non posso avere un piacere morale se non supponendomi previamente un male; ché tale debb’essere un difetto, una mancanza sentita alla mia felicità. Analizziamo tranquillamente le sensazioni d’un sovrano. Esso pare agli occhi d’ognuno il centro de’ piaceri, e conseguentemente a chi ricerca di scoprir l’indole de’ piaceri è un oggetto particolarmente degno d’osservazione. Figuriamoci un monarca assoluto padrone d’un vastissimo regno, temuto e rispettato dai vicini, glorioso presso le nazioni, amato, venerato da’ suoi sudditi. Sarebbe nella infelicità tristissima di non poter gustare verun piacere morale, se potesse essere persuaso che l’amore, il rispetto, l’entusiasmo del suo popolo non sono suscettibili d’un grado di piú, e se non temesse di perdere il godimento di questi beni. Un monarca che fosse immortale, impassibile e sicuro possessore di questi beni sarebbe il solo uomo sulla terra al quale nessun altro uomo potrebbe mai portare verun fausto annunzio. La sola sorgente per lui dei piaceri morali, benché languidi e scoloriti, sarebbe la sua noia medesima. Gli oggetti che gli facessero sperare di sottrarsi da quella letargica uniformità, gli darebbero un momento di languidissimo piacere. Cosí il romore d’una caccia, l’armonia, la pompa, le passioni, il ridicolo d’un teatro, facendogli sperare una preda, e interessandolo nei sentimenti degli attori, e appropriandosi le loro speranze, possono trarlo ad una esistenza meno noiosa. Egli otterrà che per qualche ora in séguito la sua mente sia occupata d’idee meno uniformi; quindi ne nascerà un qualche piacer morale. Ma a questo stato non può giunger mai un monarca. Egli non può mai esser sicuro dei mali fisici, dolori, malattie, morte; nemmeno può aver egli l’evidenza degl’intimi sentimenti di ciascun del suo popolo; quindi ha sempre nel suo animo de’ principi dolorosi di timore, i quali possono dar luogo al nascimento della consolatrice speranza. Altra sorgente di piacere ha un buon monarca, ed è quel ben augurato principio di umana benevolenza, deliziosa occupazione d’un ottimo principe, che esercitando la piú invidiabile parte del suo potere, cioé adoperando i mezzi onde si diminuisce la miseria di un gran numero d’uomini, con questa sublime facoltà moltiplica le benedizioni e i voti del suo popolo, dilatando la pubblica felicità, facendo regnare la giustizia, la fede, la virtú, l’abbondanza nel suo popolo. Il bisogno che sente d’avere dei voti pubblici, bisogno inquieto e doloroso per sé stesso, ma sorgente delle piú nobili azioni sconosciuta ai tiranni, il bisogno, dico, di questi voti gli rende deliziose tutte le prove di fiducia, di benevolenza, di entusiasmo che va ricevendo dai pubblici applausi. Ogni giorno piú vede egli assicurarsi in favor suo quella pubblica opinione che dirige la forza. Ei vede gradatamente rendersi sempre piú cospiranti a lui le azioni di ciascun cittadino; vede che s’ei dovrà adoperar l’impeto di fuori, concorreranno a gara i suoi popoli a rinforzarne gli eserciti; si mira già alla testa di una armata invincibile di entusiasti. Pensa egli a un grandioso monumento, a un’opera di pubblica utilità? Quanto egli è piú amato, e piú possiede l’opinione, tanto si spianano davanti a lui le difficoltà tutte. Egli sicuro passeggerà in mezzo al suo popolo, qualora voglia spogliarsi della importuna, ma forse a tempo necessaria pomposa maestà. Tutti questi sublimi e consolanti oggetti scuotono la fantasia d’un saggio monarca a misura che egli vi si occupa nel procurare la felicità pubblica; e la speranza di conseguire e di rassodare il possesso di questi beni è un vivissimo piacere che lo rende beato; piacere non invidiato, perché poco conosciuto, mentre la turba, paga della corteccia degli oggetti, incautamente invidia quel pesantissimo corredo della maestà, e quelle insipide prosternazioni, e quei titoli, ai quali per lunga età avvezzo un sovrano non può essere sensibile; e quand’anche talvolta se ne avveda, non sarà per ciò che ne ritragga verun piacere morale, perché ciò non gli fa cessare alcun dolore, né gli seda un timore o gli desta alcuna speranza. Un sovrano al primo ascendere che fa sul trono, e singolarmente un elettivo, il quale colla sua educazione non si poteva aspettare il regno, può essere lusingato dagli atti esterni di omaggio, perché ciascuno di essi gli annunzia e gli ricorda ch’egli è veramente sovrano, nel tempo in cui non ancora abituato per una lunga serie di sensazioni a persuadersi pienamente d’esser tale, ha sempre nei ripostigli del cuore un resto di dubbio sulla sua nuova condizione, ed ogni atto che annienti questo dubbio è sempre un grado che si aggiunge alla speranza dei beni ch’ei vede uniti alla sovranità. Ma tanto è lontano che questi invidiati omaggi possano piacere, acquistata che ne sia l’abitudine, che anzi io credo che ogni sovrano, quando potesse essere certo che il popolo fosse per venerarlo e ubbidirlo senza l’esterno apparato che percuota i sensi, volentieri se ne spoglierebbe. Ogni illuminato sovrano, quando conosca che l’uomo al quale parla veramente lo onora e rispetta, ed è pronto a ubbidire, sommamente si compiace, se altronde lo vede libero e ingenuo manifestargli i suoi sentimenti; e talora si rallegra e gode, se essendo egli mal conosciuto, taluno lo tratti con popolare dimestichezza e con eguaglianza da uomo a uomo. Per lo contrario gli uomini ambiziosi posti in dignità meno sicure, e delle quali il potere sia piú soggetto alle instabili vicende di fortuna, sono assai piú animati nel difendere i contrassegni esterni di onore convenienti alla lor carica, perché la lor condizione è precaria e dipendente dal beneplacito sovrano. Le cariche piú luminose hanno sempre degli emuli, e ben di rado si può tranquillamente riposare sulla costanza di tal destino. Questa inquietudine che sta piú o meno sempre riposta nel loro cuore, si diminuisce ogni volta che scorgono atti di stima, di subordinazione e di attaccamento; poiché o sono esseri sinceri e provano il voto pubblico in favore, o sono esterne apparenze soltanto, e queste almeno provano che siam temuti; conseguentemente che è forte il nostro partito. Questi atti aggiungono un momento di speranza sulla durata del potere, anzi sull’accrescimento. Per lo contrario quegli atti di famigliarità e di cittadinesca ingenuità che rallegrano un monarca, con maggior difficoltà rallegreranno un ministro, perché il primo non teme di perdere la dignità, né di diventare uomo comune; l’altro lo teme, né può trovarsi bene in un dialogo che anche per breve spazio lo trasporta in uno stato temuto. Questi pensieri in generale si verificano; nel fatto però vi sono delle eccezioni. Se un sovrano temerà di perdere il trono, non sarà piú in questo caso. Se un ministro bastantemente filosofo per saper viver bene anche senza impieghi pubblici si presta per principio di virtú al bene del sovrano e dello Stato; se egli consapevole de’ propri servigi e della illuminata rettitudine del sovrano placidamente eseguirà gli uffici del suo ministero, potrà diventare insensibile ai fasci e ai littori che lo precedono, e conservando quell’esterior decoro che esige la scena ch’ei rappresenta su questo teatro, essere esente nel fondo del cuore da quella inquietudine che comunemente ne risente l’umanità posta in simili circostanze. O si esamini adunque l’uomo in privata condizione, ovvero si esamini ne’ pubblici impieghi, sempre si verifica che il piacere morale non va mai disgiunto dalla cessazione d’un dolor morale; giacché; come si è detto, il piacer morale è sempre accompagnato dalla speranza di esistere meglio di quello che ora esistiamo. Dunque prima che nasca il piacere morale dobbiamo sentire un difetto; una cosa che manca al nostro benessere è sentire un difetto alla nostra felicità, è una sensazione spiacevole e dolorosa. Dunque il piacer morale è sempre accompagnato dalla cessazione di un male, giacché quand’anche sia tenue la speranza, ed ella non diminuisca se non di pochi gradi la sensazione disgustosa che portiam con noi, quella quantità diminuita è altrettanto male che cessa, alla quale quantità è paragonabile il piacer morale.