Discorso sul testo della Commedia di Dante/XXVII

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[p. 160 modifica]XXVII. È fatale agli autori che ove abbiano meritato celebrità in una specie di studj, siano creduti inettissimi agli altri. Per patire più ch’altri di questa sciagura, l’autore delle belle Novelle compose un volumetto di storia; e comechè non fosse vinto da chi nacque pochi anni innanzi che egli morisse e si studiò di far meglio1, — il competitore, per la doppia autorità di storico di professione e di antico, ottenne fede; tanto più quanto per quella contesa de’ paesi ove il poema fu scritto2, molti poi congiurarono a darla mentita a quanto mai disse il Boccaccio. Però il poco di lume, che pur trapela dal suo racconto a spiare in che stato gli autografi fossero lasciati da Dante, fu trascurato da tutti. La questione parendo poscia insolubile, non fu toccata; perchè dove il vero è creduto impossibile a ritrovarsi, molti saviamente, da’ teologi in fuori, stimano che non sia cosa necessaria nè utile l’indagarlo. Tuttavia nè il sogno, nè il racconto del sogno, nè gli abbellimenti del narratore, sono cose fuor di natura; e lasciano anche discernere: — quali cagioni contribuissero a nascondere e ricovrare que’ manoscritti: — se l’autore avesse finito o intendesse di ritoccare il Poema: — come e quando fosse conosciuto dal mondo. — Questi dubbj, a chi non gli esamina, indurranno — e devo e dovrò mio malgrado ridirlo — all’assurda credulità in codici venerandi, congetture dottissime, nuove date; e disfare e rifare quanto altri avrà fatto, e ricominciare a ogni poco a non mai vederne la fine. Adunque, poichè le nozioni storiche senza le quali regola alcuna di critica emendazione non può mai stabilirsi, sono taciute da tutti, e non cominciano a trapassare se non se da quella visione poco credibile: giovi quanto può la visione,


Quand’anche il sogno a noi viene dall’alto.


Il dare e il negare fede a ogni cosa induce gli occhi a chiudersi ostinatissimi a non discernere quel tanto di falso, di che la fantasia umana vuol a ogni modo vestire il vero; o a perdere quel vero, il quale è pur sempre occulta radice d’ogni finzione. Dalla favola sotto apparenza di storia, e dalla storia vestita da favola, emerge egualmente la realtà nuda di que’ fatti che sono certi o perpetui, perchè si stanno nella natura invariabile delle cose. Gli storici mentono spesso, non per disegno [p. 161 modifica]premeditato, bensì perchè il genere umano non può mai vedere cosa veruna se non a traverso di mille illusioni; e quando pure assai circostanze d’un fatto non sieno vere, le guise di narrarlo rivelano come l’immaginazione esercita diversamente in tempi diversi la mente degli uomini. Di quante e quali illusioni la posterità dovrà spogliare gli scrittori de’ nostri giorni a conoscere il vero negli avvenimenti, non so: parmi di presentire , che la nostra filosofica credulità intorno a’ progressi illimitati dell’umano intelletto sarà allora smentita dalla tarda esperienza, e compianta più ch’oggi non deridiamo la credulità religiosa degli antichi a’ lor sogni, e alle apparizioni dei morti.


Note

  1. «L’oppretta della vita, costumi e studi del chiarissimo poeta Dante — esaminata di nuovo — mi parve che il nostro Boccaccio, dolcissimo e suavissimo uomo, così scrivesse la vita e i costumi di tanto sublime poeta, come se a scrivere avesse il Filocolo, o il Filostrato, o la Fiammetta.» Leonardo Aretino. Vita di Dante, nel proemio.
  2. Vedi dietro, sez. XII e XVII.