Discorso di assegnazione a Darwin del premio Cesare Alessandro Bressa

Michele Lessona

1880 Discorsi/Scienze Testi scientifici Discorso di assegnazione a Darwin del premio Cesare Alessandro Bressa Intestazione 24 maggio 2008|arg 75%

IL PREMIO DELL'ACCADEMIA DELLE SCIENZE
DI TORINO CONFERITO A CHARLES DARWIN


CARLO DARWIN

E IL GRAN PREMIO DI TORINO



di

Michele Lessona


Addì 4 settembre 1835 il dottore Cesare Alessandro Bressa faceva innovare un testamento nel quale lasciava tutti i suoi averi alla Accademia delle Scienze di Torino, affinché colle rendite di essi l'Accademia desse ogni due anni un premio di dodici mila lire a chi nel biennio avesse fatto qualche insigne od utile scoperta, od opera celebre in fatto di scienze fisiche, naturali, matematiche e storiche. Il dottore Bressa lasciava usufruttuaria dei suoi averi una signora, la signora Claudia Amata Dupêché per tutto il tempo della sua vita. L'Accademia delle Scienze di Torino ebbe libero dalla condizione di usufrutto il lascito Bressa soltanto nel mese di luglio del 1876.

Una espressa disposizione del dottore Bressa voleva che per un biennio il premio fosse dato all'opera o scoperta più meritevole fattasi in qualsiasi parte del mondo, per il biennio successivo all'opera o scoperta più meritevole fatta in Italia. L'Accademia delle Scienze di Torino doveva adunque cominciare dal premio per tutto il mondo, e lo diede alle ultime scoperte di Carlo Darwin.

Quelle grandi scoperte scientifiche che fanno meravigliare il mondo e accrescono le forze dell'uomo allargando i confini del suo sapere, passano, - l'ha detto, se non m'inganno, primo il Goethe e parecchi poi l'hanno ripetuto, - per tre distinti periodi.

Il primo periodo è quello della incredulità; si dice senz'altro: "È falso!" Gli affaccendati scrollano le spalle e tirano avanti, gli altri scherzano, motteggiano, ridono.

Il secondo periodo è quello della imprecazione. Si grida: "È un'empietà!". Si proclamano minacciati il trono e l'altare, l'edifizio sociale vicino a rovina, scrollati i cardini del mondo. Non si ride più; si rabbrividisce, si freme, si inorridisce. Questo furore, ben inteso, ottiene l'effetto opposto: la scoperta che si vuol soffocare acquista il pregio del frutto proibito, se ne occupano anche quelli che non se n'erano dato pensiero prima. La verità tranquillamente segue ad aprirsi la via e gli oppositori si dividono in due schiere. Una prosegue incrollabile fino alla morte: l'altra, vista la mala parata, comincia ad accettare qualche cosa, il meno che può, poi sempre qualche cosa di più, a mano a mano che cresce la marea. Allora comincia il terzo periodo.

Sulla bandiera di questo terzo periodo sta scritto: "Si sapeva!". Il grido che riunisce le turbe prima furiosamente contrastanti è questo, che la cosa è tutt'altro che nuova, che molti sommi uomini fin dall'antichità ne hanno fatto cenno od anche l'hanno palesemente dichiarata, e ogni nazione ha il suo grand'uomo all'uopo. La cosa è conciliabilissima colla fede; il trono e l'altare, ben lungi dallo averne da temere, ci trovano appoggio e sostegno.

A tutti viene in mente, parlando di ciò, Galileo. Ma molti si possono aggiungere, e in linea con Galileo il suo grande figliuolo spirituale, il Newton, che quando dichiarò l'attrazione universale si ebbe da non so quale arcivescovo di Londra la taccia d'uomo sovversivo, proclamandosi la legge della attrazione universale al tutto contraria alla fede. Così, ancora in Inghilterra, fu dello Harvey quando mise fuori la scoperta della circolazione del sangue.

Carlo Redi1 disse un giorno di aver fatto certe prove tanto semplici quanto dimostrative da cui risultava in modo indubitabile che la carne passando in putrefazione non dà origine a vermi, ma che quegli animaletti i quali si trovano nella carne putrefatta e paiono vermi sono, come quelli del formaggio e di altre sostanze alimentari, larve di mosche schiuse dalle uova deposte dalla mosca madre. Questa asserzione che, ripetendo gli sperimenti semplicissimi del Redi, era tanto facile verificare, destò dapprima incredulità e poi furore.

Quando il Torricelli dimostrò la possibilità e la esistenza del vuoto, fu la stessa cosa.

Lavoisier avrebbe certamente dovuto soffrir molto di violente opposizioni per le sue scoperte intorno alla costituzione dell'aria e dell'acqua, se non gli avessero prontamente tagliato la testa.

Per citare ancora un esempio, e questi si potrebbero grandemente moltiplicare, e un esempio locale e vicino, quando si parlò di un periodo glaciale, di un tempo in cui la valle d'Aosta e la valle di Susa in Piemonte erano tutte occupate da ghiacciai immensi che si spingevano fino alla pianura, fu vista qui ripetersi in piccolo la stessa cosa: soltanto, i tempi sono ora abbastanza mutati in meglio perché non sia più temibile per lo scopritore di una nuova verità quel complesso di pericoli che lo minacciavano in passato.

Se Carlo Darwin fosse vissuto ai tempi di Galileo avrebbe avuto la tortura dalla inquisizione: buon per lui che nacque al tempo nostro e non ha dovuto sopportare altra tortura tranne quella di sentirsi maltrattare da gente che non lo legge: ma egli lascia dire. Anzi, se vogliamo dire il vero, quando si tratti di oppositori onesti e ragionevoli, egli lascia loro pochissimo, a un dipresso nulla, da dire, perché dice tutto lui. In vero, ogni qualsiasi argomento contrario, ogni qualsiasi obbiezione che si possa fare ai suoi concetti, egli cerca, esamina, espone con tutto il valore che possano avere. Singolarità nobilissima e caratteristica del Darwin è il cercare ch'egli fa con somma cura gli argomenti contrari alle sue opinioni, e lo esporre queste con infinita riserva, con infinito riguardo. Chi legge Darwin rimane rapito da questo suo modo che rivela un amore purissimo del vero, che nell'animo suo sta sopra ogni cosa.

Non sempre, ripeto, quelli che scrivono contro Darwin lo hanno letto; per quanto ciò possa parer strano, non è meno vero: nello stesso modo in cui molti ripetono un'aria di musica per averla sentita non dall'orchestra diretta in teatro dal maestro, ma da un organetto in istrada, così molti prendono i concetti di un autore non alla sorgente, ma diluiti e travisati dagli opuscoli e dai giornali, assai meno fedeli degli organetti. Prendiamo un fatto semplicissimo relativo alla scelta naturale. Noi vediamo che il colore degli animali si armonizza col colore del mezzo in cui vivono, così, per esempio, la cavalletta che vive fra l'erbetta dei prati ha il colore verde delle erbette stesse e questo colore riesce a proteggerla contro il becco degli uccelletti che cercano di pascersene, sottraendola ai loro occhi: si può dire che quanto più il colore della cavalletta si confonde con quello dell'erba, tanto più essa è sicura. Ora, date dieci cavallette di cui quattro siano più verdi delle altre, queste quattro avranno maggiore probabilità di sottrarsi ai loro nemici, mentre le altre sei correranno maggior rischio, essendo più facilmente vedute, di essere beccate. Le quattro cavallette più verdi avranno progenie in cui predominerà sempre di più lo schietto verde: se taluni individui avranno in minor grado questo coloramento protettore; più facilmente soccomberanno; gli altri più facilmente resisteranno, e così coll'andare del tempo la tinta protettrice si farà più generalmente e costantemente verde per un fatto di scelta naturale facilissimo da comprendere. L'uomo adopera questo processo della scelta per ottenere le razze degli animali domestici, e ognuno sa con quanto meravigliosi risultamenti. Modificandosi dall'uomo le condizioni esterne della vita degli animali domestici continuatamente e proseguendosi continuatamente colla scelta naturale, si vengono a modificare non solo i colori, ma anche lo scheletro, le viscere, gli organi dei sensi, l'indole degli animali. La geologia moderna ha dimostrato, e nissuno oggimai più nega ciò, che in luogo delle rivoluzioni e dei cataclismi repentini a cui si credeva una volta, la superficie del nostro globo andò lentissimamente mutandosi e passando per diversissime condizioni di rapporti fra le acque e le terre emerse, di temperature, di climi, e via dicendo. Gli animali e le piante che vissero nelle epoche remote e diverse dalla attuale hanno dovuto risentirsi di quei mutamenti lentissimi, ma poderosi; l'equilibrio, come si dice, o i rapporti e le dipendenze fra i vari viventi hanno dovuto a poco a poco mutarsi, e molte forme sparire; altre hanno potuto resistere, ma modificandosi profondamente, tramutandosi in certo modo e assumendo diverso aspetto. Non possiamo adunque esser certi che quelle specie di viventi le quali oggi restano e popolano la terra abbiano appunto quelle medesime forme che avevano in periodi remoti della vita del nostro pianeta; possiamo credere che le forme dei discendenti attuali siano differenti da quelle dei loro antichissimi progenitori. La trasformazione delle specie è adunque una cosa possibile. Ecco quello che ha detto Darwin, e per cui fu tacciato di empio, perverso, scellerato, ed altre amenità simiglianti. Certamente Darwin non ha detto soltanto questo; ma io non voglio fare qui un'esposizione della teoria darwiniana, bensì solo esprimere uno dei concetti della medesima. Una bella, sebbene breve, esposizione della teoria darwiniana l'ha fatta il professore Arturo Issel in un volumetto, pubblicato dalla casa Treves, intitolato Varietà di Storia Naturale, e a quella rimando il lettore.

Carlo Darwin nacque addì 12 febbraio 1809 in una famiglia dove già questo nome era stato segnalato da un cultore insigne delle scienze naturali: si dedicò allo studio di queste scienze e nel 1830 imprese un viaggio di circumnavigazione che durò oltre a 5 anni. La nave su cui egli salpava era comandata dal FitzRoy, che più tardi ebbe celebrità in tutto il mondo per vari suoi meriti, e sovra tutto quelli relativi agli studii meteorologici. Il Darwin narrò il suo viaggio in un volume mirabile per la piacevolezza e ad un tempo lo ammaestramento che se ne ricavano dalla lettura: in varie relazioni parziali pubblicò i risultamenti delle sue osservazioni intorno ai vari rami della storia naturale, tutti importanti. Importantissimo quello in cui espresse i suoi concetti intorno al modo di formazione delle isole madreporiche. Le spiegazioni che davano di queste singolari formazioni i naturalisti, dico i migliori, erano così poco soddisfacenti che nissuno si poteva indurre ad accoglierle di buona voglia. La spiegazione data dal Darwin riuscì di tanta evidenza che tutti la accolsero e d'allora in poi non vi si mosse più dubbio intorno. Quando Darwin non avesse più fatto altro, questo solo basterebbe a dare al suo nome nella scienza un posto immortale.

Ma ben altro il Darwin doveva fare. Chi legge il suo viaggio trova qua e là qualche accenno, qualche germe di idee inaspettate, senz'altra conseguenza. Il giovane naturalista che girava il mondo fin d'allora si sentiva qualche cosa nella mente di quei concetti che doveva così a lungo meditare più tardi. Ma non bastava la sola meditazione; si richiedeva la osservazione, una osservazione minuta, costante, arida, faticosa, la quale sola poteva dar corpo alle idee. Darwin vi si adoperò per ventiquattr'anni; nel periodo di tempo che corse fra il 1836 e il 1859 egli, sebbene facesse parecchie pubblicazioni, non accennò a quello che costituiva la parte principale di ogni sua ricerca, di ogni sua meditazione, quello a cui convergevano tutte le sue forze poderose: la quistione della origine delle specie. Solo nel 1859 venne fuori il volume che appunto ha questo titolo, e di cui si doveva parlar tanto. Il darwinismo, come venne chiamato, percorse i tre periodi di cui ho detto sopra. Nissuno forse oggi ha più il coraggio di negare interamente la modificabilità delle specie, i più dubitosi si contentano di porle dei limiti, che sempre più si vanno allargando. Come il sole al suo sorgere dal mare o dietro una montagna manda dapprima pochi raggi e poi sale e inonda tutto della sua luce, così il darvinismo si estende ai vari rami del sapere umano, tutti li vivifica, tutti li comprende, tutti li mostra in novello aspetto.

Nella sua casetta di Down, ove isolato e raccolto nei suoi studi e nelle sue meditazioni vive il Darwin da tanti anni, come onda furiosa di mare contro gli scogli, Darwin poteva sentire alla sua soglia l'eco delle imprecazioni e delle ammirazioni di tutto il mondo. Egli avrebbe ben potuto dire: "Ho compiuto il mio debito!". Avrebbe potuto considerare come finita la sua missione e riposarsi. Ma certi uomini non si riposano mai, o per meglio dire i loro riposi valgono più delle fatiche degli altri e riescono pure benefici al mondo.

Quell'uomo che s'era procacciato la prima sua gloria visitando regioni remote in pericolosissime navigazioni, doveva coprir oggi di nuova gloria questi anni della sua vita con quelle osservazioni che l'uomo può fare passeggiando a diporto fuori della sua casetta, non più in là di quello che possa fare andando e tornando a piedi. Pel naturalista veramente degno di tal nome il contorno della casa offre campo a così importanti e così svariate osservazioni e scoperte quanto il giro del mondo.

Una pianticella comune, non solo in Inghilterra ma anche fra noi, chiude repentinamente i suoi petali se un insetto vi si venga a posar sopra; da questo fatto partì il Darwin per domandarsi come segua ciò e che cosa avvenga di questo insetto: con una serie di osservazioni e di sperimenti egli riconobbe che veramente questa pianticella si nutre dello insetto acchiappato, e pubblicò il volume intorno alle Piante insettivore, in cui, esponendo gli sperimenti fatti e il modo in cui li venne variando, si mostrò non solamente sommo nell'arte dello esperimentare, ma anche profondissimo conoscitore della chimica fisiologica e della fisiologia vegetale. Altre osservazioni non meno importanti egli fece sulla fecondazione delle piante e sulle differenti forme dei fiori nelle piante della medesima specie. Quello che si credeva siccome verità di fede intorno alla fecondazione delle piante fino a ieri, oggi, mercé queste osservazioni del Darwin, è riconosciuto erroneo e la scienza assume in questo importante argomento della fecondazione delle piante un aspetto tutto nuovo. Ancora una volta bisogna ripetere che se Darwin non avesse mai fatto il giro del mondo e scoperto il vero modo della formazione delle isole madreporiche, se non avesse mai pubblicato nulla intorno alla origine delle specie, se non avesse fatto altro che questi lavori di fisiologia vegetale, questi basterebbero a dargli per sempre posto fra i sommi naturalisti.

Questi lavori immortali egli li ha compiuti fra i sessantacinque e i settant'anni.

Il telegrafo, annunziando il premio datogli dalla Accademia di Torino, qualifica il Darwin siccome professore. Da quello che ho detto risulta che il Darwin non attende allo insegnamento. Se facesse o avesse fatto il professore, certamente non avrebbe mancato di produrre opere parimente gloriose, ma non avrebbe probabilmente fatto appunto tutto quello di cui sopra sono venuto dicendo. Certi lunghi lavori sono pochissimo conciliabili collo insegnamento assiduamente proseguito, sovra tutto nel campo delle scienze naturali. Ciò non toglie che la qualità di professore non abbia i suoi vantaggi.

Note

  1. Così nel testo, ma si intende probabilmente Francesco Redi.


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