Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio (1824)/Libro secondo/Capitolo 8

Libro secondo

Capitolo 8

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La cagione perché i popoli si partono
da’ luoghi patrii, ed inondano
il paese altrui.

Poiché di sopra si è ragionato del modo nel procedere nella guerra osservato da’ Romani, e come i Toscani furono assaltati da’ Franciosi, non mi pare alieno dalla materia discorrere, come le si fanno di dua generazioni guerre. L’una è fatta per ambizione de’ principi o delle republiche, che cercano di propagare lo imperio; come furono le guerre che fece Alessandro Magno, e quelle che fecero i Romani, e quelle che fanno, ciascuno dì, l’una potenza con l’altra. Le quali guerre sono pericolose, ma non cacciano al tutto gli abitatori d’una provincia; perché e’ basta, al vincitore, solo la ubbidienza de’ popoli, e il più delle volte gli lascia vivere con le loro leggi, e sempre con le loro case, e ne’ loro beni. L’altra generazione di guerra è quando uno popolo intero con tutte le sue famiglie si lieva d’uno luogo, necessitato o dalla fame o dalla guerra, e va a cercare nuova sede e nuova provincia; non per comandarla, come quegli di sopra, ma per possederla tutta particularmente, e cacciarne o ammazzare gli abitatori antichi di quella. Questa guerra è crudelissima e paventosissima. E di queste guerre ragiona Sallustio nel fine dell’Iugurtino, quando dice che, vinto Iugurta, si [p. 242 modifica]sentì il moto de’ Franciosi che venivano in Italia: dove ei dice che il Popolo romano con tutte le altre genti combatté solamente per chi dovesse comandare, ma con i Franciosi combatté sempre per la salute di ciascuno. Perché a un principe o a una republica, che assalta una provincia, basta spegnere solo coloro che comandano; ma a queste populazioni conviene spegnere ciascuno, perché vogliono vivere di quello che altri viveva. I Romani ebbero tre di queste guerre pericolosissime. La prima fu quella quando Roma fu presa, la quale fu occupata da quei Franciosi che avevano tolto, come di sopra si disse, la Lombardia a’ Toscani, e fattone loro sedia; della quale Tito Livio ne allega due cagioni: la prima, come di sopra si disse, che furono allettati dalla dolcezza delle frutte e del vino d’Italia, delle quali mancavano in Francia; la seconda che, essendo quel regno francioso multiplicato in tanto di uomini, che non vi si potevono più nutrire, giudicarono i principi di quelli luoghi, che e’ fusse necessario che una parte di loro andasse a cercare nuova terra, e, fatta tale deliberazione, elessono, per capitani di quegli che si avevano a partire, Belloveso e Sicoveso, duoi re de’ Franciosi: de’ quali Belloveso venne in Italia, e Sicoveso passò in Ispagna. Dalla passata del quale Belloveso nacque la occupazione di Lombardia, e di quindi la guerra che prima i Franciosi fecero a Roma. Dopo questa, fu quella che fecero dopo la prima guerra cartaginese, quando intra Piombino e Pisa [p. 243 modifica]ammazzarono più che dugentomila Franciosi. La terza, fu quando i Tedeschi e’ Cimbri vennero in Italia: i quali, avendo vinti più eserciti romani, furono vinti da Mario. Vinsero adunque i Romani queste tre guerre pericolosissime. Né era necessario minore virtù a vincerle, perché si vide poi, come la virtù romana mancò e che quelle armi perderono il loro antico valore, fu quello imperio destrutto da simili popoli: i quali furono Gotti, Vandali, e simili, che occuparono tutto lo Imperio occidentale.

Escono tali popoli de’ paesi loro, come di sopra si disse, cacciati dalla necessità: e la necessità nasce o dalla fame, o da una guerra ed oppressione che ne’ paesi propri è loro fatta: talché e’ son constretti cercare nuove terre. E questi tali, o e’ sono gran numero; ed allora con violenza entrano ne’ paesi d’altrui, ammazzano gli abitatori, posseggono i loro beni, fanno uno nuovo regno, mutano il nome della provincia: come fece Moisè, e quelli popoli che occuparono lo Imperio romano. Perché questi nomi nuovi che sono nella Italia e nelle altre provincie, non nascono da altro che da essere state nomate così da nuovi occupatori: come è la Lombardia, che si chiamava Gallia Cisalpina: la Francia si chiamava Gallia Transalpina, ed ora è nominata da’ Franchi, che così si chiamavono quelli popoli che la occuparono: la Schiavonia si chiamava Illiria; l’Ungheria, Pannonia; l’Inghilterra, Britannia; e molte altre provincie che hanno mutato nome, le quali sarebbe tedioso [p. 244 modifica]raccontare. Moisè ancora chiamò Giudea quella parte di Soria occupata da lui. E perché io ho detto, di sopra, che qualche volta tali popoli sono cacciati dalla propria sede per guerra, donde sono constretti cercare nuove terre; ne voglio addurre lo esemplo de’ Maurusii, popoli anticamente in Soria: i quali, sentendo venire i popoli ebraici, e giudicando non potere loro resistere, pensarono essere meglio salvare loro medesimi, e lasciare il paese proprio, che, per volere salvare quello, perdere ancora loro; e levatisi con loro famiglie, se ne andarono in Africa, dove posero la loro sedia, cacciando via quelli abitatori che in quegli luoghi trovarono. E così quegli che non avevano potuto difendere il loro paese, potettono occupare quello d’altrui. E Procopio, che scrive la guerra che fece Belisario coi Vandali, occupatori della Africa, riferisce avere letto lettere scritte in certe colonne, ne’ luoghi dove questi Maurusii abitavano, le quali dicevano: «Nos Maurusii, qui fugimus a facie Jesu latronis filii Navae». Dove apparisce la cagione della partita loro di Soria. Sono, pertanto, questi popoli formidolosissimi, sendo cacciati da una ultima necessità; e se e’ non riscontrano buone armi, non mai saranno sostenuti. Ma quando quegli che sono costretti abbandonare la loro patria non sono molti, non sono sì pericolosi come quelli popoli di chi si è ragionato; perché non possono usare tanta violenza, ma conviene loro con arte occupare qualche luogo, e, [p. 245 modifica]occupatolo, mantenervisi per via d’amici e di confederati: come si vede che fece Enea, Didone, i Massiliesi e simili; i quali tutti, per consentimento de’ vicini, dov’e’ posono, poterono mantenervisi. Escono i popoli grossi, e sono usciti quasi tutti, de’ paesi di Scizia; luoghi freddi e poveri: dove, per essere assai uomini, ed il paese di qualità da non gli potere nutrire, sono forzati uscirne, avendo molte cose che gli cacciono, e nessuna che gli ritenga. E se, da cinquecento anni in qua, non è occorso che alcuni di questi popoli abbiano inondato alcuno paese, è nato per più cagioni. La prima, la grande evacuazione che fece quel paese nella declinazione dello Imperio, donde uscirono più di trenta popoli. La seconda è che la Magna e l’Ungheria, donde ancora uscivano di queste genti hanno ora il loro paese bonificato in modo che vi possono vivere agiatamente; talché non sono necessitati di mutare luogo. Dall’altra parte, sendo loro uomini bellicosissimi, sono come uno bastione a tenere che gli Sciti, i quali con loro confinano, non presumino di potere vincergli o passarli. E spesse volte occorrono movimenti grandissimi de’ Tartari che sono dipoi dagli Ungheri e da quelli di Polonia sostenuti; e spesso si gloriano, che, se non fussono l’armi loro, la Italia e la Chiesa arebbe molte volte sentito il peso degli eserciti tartari. E questo voglio basti quanto ai prefatipopoli.