Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio (1824)/Libro secondo/Capitolo 9

Libro secondo

Capitolo 9

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CAPITOLO IX


Quali cagioni comunemente facciano nascere le guerre tra i Potenti.


La cagione che fece nascere guerra tra i Romani e i Sanniti, che erano stati in lega gran tempo, è una cagione comune che nasce fra tutt'i Principati potenti. La qual cagione, o la viene a caso, o la è fatta nascere da colui che desidera muovere la guerra. Quella che nacque tra i Romani e i Sanniti fu a caso; perchè la intenzione dei Sanniti non fu, muovendo guerra a' Sidicini, e dipoi a' Campani, muoverla ai Romani. Ma sendo i Campani oppressati, e ricorrendo a Roma, fuori della opinione dei Romani e de' Sanniti, furono forzati, dandosi i Campani a' Romani, come cosa loro difenderli, e pigliare quella guerra che a loro parve non poter con loro onore fuggire. Perchè e' pareva bene a' Romani ragionevole non potere difendere i Campani come amici contro a' Sanniti amici; ma pareva ben loro vergogna non li difendere come sudditi, ovvero raccomandati, giudicando, quando e' non avessero presa tal difesa, torre la via a tutti quelli che disegnassero venire sotto la potestà loro. Ed avendo Roma per fine l'imperio e la gloria, e non la quiete, non poteva ricusare questa impresa. Questa medesima cagione dette principio alla prima guerra contro ai Carta[p. 247 modifica]Messinesi in Sicilia: la quale fu ancora a caso. Ma non fu già a caso, dipoi, la seconda guerra che nacque infra loro; perché Annibale capitano cartaginese assaltò i Saguntini amici de’ Romani in Ispagna, non per offendere quelli, ma per muovere l’armi romane, ed avere occasione di combatterli, e passare in Italia. Questo modo nello appiccare nuove guerre è stato sempre consueto intra i potenti, e che si hanno, e della fede e d’altro, qualche rispetto. Perché, se io voglio fare guerra con uno principe, ed infra noi siano fermi capitoli per un gran tempo osservati, con altra giustificazione e con altro colore assalterò io uno suo amico che lui proprio; sappiendo, massime, che, nello assaltare lo amico, o ei si risentirà, ed io arò lo intento mio di farli guerra, o, non si risentendo, si scoprirà la debolezza o la infidelità sua, di non difendere uno suo raccomandato. E l’una e l’altra di queste due cose è per tôrli riputazione, e per fare più facili i disegni miei. Debbesi notare, adunque, e per la dedizione de’ Campani, circa al muovere guerra, quanto di sopra si è detto; e di più, quale rimedio abbia una città che non si possa per sé stessa difendere, e vogliasi difendere in ogni modo da quello che l’assalta: il quale è darsi liberamente a quello che tu disegni che ti difenda, come feciono i Capovani a’ Romani, e i Fiorentini a il re Ruberto di Napoli: il quale non gli volendo difendere come amici, gli difese poi come sudditi

no match

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contro alle forze di Castruccio da Lucca, che gli opprimeva.