Discorsi (Guicciardini)/IV. Sullo stesso argomento

IV. Sullo stesso argomento

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III. La decima scalata V. Del modo di ordinare il governo popolare

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IV

[Sullo stesso argomento].

In contrario.

Io ardirò di dire, prestantissimi cittadini, e lo dirò giustificatarnente e con veritá, che questa cittá non fu forse mai tanto vicina o alla salute o alla ruina, quanto la è al presente; perché essendo per grazia di Dio ridotta alla libertá e nel governo populare che è el proprio e naturale suo, non è da dubitare che se in questo vivere la procederá ordinatamente e temperatamente, ed andrá augumentando le buone disposizione de’ cittadini ed ingegnandosi di tenere contento ognuno nel grado suo piú che si possa, che questa cittá fiorirá drento con pace, con unione e con ricchezze, e con questo buono fondamento non solo si libererá di fuora da e’ travagli che ha ora, e recupererá Pisa, ma ancora dilaterá lo stato suo e la riputazione, piú che mai abbi fatto in tempo alcuno. Ma se per el contrario si comincerá a disordinare e procedere licenziosamente e volere confondere tutte le distinzione e gradi de’ suoi cittadini e lasciarsi traportare da opinioni vane e bestiale, è certissimo che tra noi cominceranno le divisione e le confusione, le quali meneranno la cittá in luogo, che non solo non uscirá de’ pericoli in che si truova ora, ma indubitatamente si conducerá, e presto, in qualche grande precipizio ed esterminio. Però è necessario che voi, prestantissimi cittadini, da’ quali depende tutto el bene ed el male della cittá, [p. 208 modifica] perché voi siate el principe, non prestate orecchi piú che si convenga, agli uomini temerari e licenziosi, né vi lasciate facilmente persuadere le cose nuove ed esorbitante, né apriate la via a suvvertire lo antico modo nostro di vivere, ma procediate nelle vostre deliberazione modestamente e temperatamente, ed in modo che diate causa di nutrire e consolidare la concordia della cittá, non di fare uno caos che ci conduca tutti insieme alla morte.

La provisione che è proposta, non si può negare che non abbia del disonesto; ma disonestissimo, e tanto che io me ne stupisco, è stato quello che ha parlato ultimamente questo venerabile collegio, el quale, se si fussi ricordato che quello magistrato fu trovato per conservare la libertá e la pace della cittá e la quiete di ognuno, non per essere autore di discordie e di legge ed ordini pestiferi, arebbe forse raffrenato piú la lingua sua, né con si poca considerazione confortato ed invitato le Prestanzie vostre a uno modo di governo perniziosissimo; benché in questo merita di essere ringraziato, che poi che voleva pure seminare queste zizzanie, l’ha fatto con tanta passione e con si poca prudenzia, ed implicato in sé medesimo tante contradizioni e proposto cose si impossibili, che chi non è bene cieco ha potuto facilmente comprendere quanto e’ si sia discostato dalla veritá.

Io confesso che la equalitá è buona in una republica, anzi è necessaria, perché è il fondamento della libertá; ma la equalitá che si ricerca, consiste in questo: che nessuno cittadino possa opprimere l’altro, che ognuno sia equalmente sottoposto alla legge ed a’ magistrati, e che la fava di ognuno che è abile a questo consiglio, abbia tanta autoritá I’una quanto l’altra. Cosí si intende la equalitá nelle libertá, e non generalmente che ognuno sia pari in ogni cosa, perché se s’avessi a intendere cosí a occhi chiusi, seguiterebbe che s’avessi a fare uno monte di tutta la roba e danari di ognuno e dividerla per testa, in modo che tanto n’avessi el povero quanto el ricco; seguiterebbe che e’ magistrati, cosí quegli che importano come gli altri, s’avessino a distribuire a ognuno la [p. 209 modifica] volta sua, in modo che cosí toccassi a essere gonfaloniere di giustizia, de’ dieci della balia, imbasciadore e commessario a uno ignorante, da poco e cattivo, come a uno savio, d’assai e buono. Le quali cose chi intendessi cosí indistintamente, leverebbe via la industria e spegnerebbe la virtú e la bontá, e farebbe uno caos si grande, che vi rovinerebbe presto sotto uno mondo, non che una cittá. Con questo esemplo e’ vostri artefici, e’ vostri sudditi, e’ vostri contadini vorrebbono essere pari a voi in ogni cosa; e cognoscendosi sanza comparazione piú di voi, vi sforzerebbono a consentirlo. Però bisogna che in uno vivere libero sia amata e favorita la equalitá moderatamente, e non quella che levi via e’ gradi e le distinzione de’ cittadini, perché Dio ha fatto in tutto el mondo diversi e’ gradi degli uomini e delle cose, ed è stato distinto, con le legge di tutto el mondo, el tuo dal mio, perché cosí è necessario a volere mantenere la salute universale. E se in una cittá, uno o piú cittadini hanno piú possessione che gli altri, o per industria loro o de’ loro passati, o per buona fortuna, questo è provisto dalle legge e dalla consuetudine universale del mondo, che siano ordinati e distinti e’ modi del guadagnare, co’ quali è lecito a ognuno accumulare giustamente roba e possessione, le quali chi volesse tórre loro con le legge o con le gravezze, suvvertirebbe lo ordine del mondo e farebbe una ingiustizia ed una iniquitá conveniente a corsali ed assassini; e le buone republiche e bene ordinate, sogliono punire queste ribalderie, le quali questo nostro collegio, che mi pare uno altro Solone, vuole che si introducono per legge; né sa che le libertá non furono introdotte per altro, se non perché ognuno possa sicuramente godere el suo e non sia usurpato dal piú potente, e costui le vuole usare a rapinare e dividersi la roba di quegli che giustamente le posseggono, ed ardisce tanto della pazienzia vostra, che dice essere giusta una legge che è una somma ingiustizia ed iniquitá.

E se si dicessi che gli è pure ragionevole che chi è ricco aiuti piú la cittá ne’ bisogni suoi che el povero, io confesso che è la veritá; ma dico bene che tanto la aiuta colui che di [p. 210 modifica] trecento ducati che ha di entrata, ne paga trenta, quanto quello che di cento ne paga dieci o di cinquanta, cinque, perché la equalitá ed inequalitá si misura con questa proporzione, che paghi tanto prò rata l’uno quanto l’altro, di che, se bene si considera, viene equalmente gravato. Non conviene a ognuno fare una medesima spesa, ma diverse secondo le diverse condizione e facultá degli uomini; e se uno povero tiene una serva sola e non ha piú che uno mantello, non è biasimato, anzi sarebbe imputato se volessi eccedere le forze sue; e nondimanco uno ricco che non facessi piú che la medesima spesa, sarebbe ripreso da ognuno, sarebbe vituperato e lacerato; e la ragione è perché gli uomini debbono tenere diversi gradi, secondo che sono diverse le facultá ed anche le qualitá; perché in una cittá, ancora che sia libera, ancora che ognuno abbia a vivere sotto le medesime legge e magistrati, vi sono pure diverse le qualitá degli uomini, perché è uno di migliore casa e piú nobile che lo altro; le quali differenzie chi vuole levare via, non è altro che volere mettere tutte le abitazione di una casa in uno piano.

A proposito adunche, dico che tanto patisce el ricco di una decima, quanto uno povero, e cosí disordina a lui le spese necessarie, come a uno povero, perché le spese necessarie non sono a ognuno le medesime, ma sono diverse secondo e’ gradi diversi de’ cittadini, e cosí è necessaria al ricco una spesa grande per conservare el grado suo, come al povero una piccola ed a me che ho mediocre facultá e possessione, una mediocre, e chi gli toglie el modo di fare simili spese, lo disordina, non nelle superfluitá, ma nelle cose necessarie; e quando pure patissi qualcosa manco, oltre che ci è de’ modi piú onesti da poterlo gravare in qualcosa piú che el povero, etiam per proporzione, e si sono usati in questi anni, di ventine, di dispiacenti e di arbitri liberi, sarebbe ancora molto piú onesto e piú utile alla cittá tollerare qualcosa di questa inequalitá, che cacciarsi innanzi una gravezza che gli distrugga; perché, oltre che è grandissima ingiustizia ed iniquitá volere cosí arrabbiatamente tórre el suo a chi lo possiede co’ modi ordinati [p. 211 modifica] non solo dagli statuti della vostra cittá, ma delle legge universale di tutto el mondo, non considerate voi quanto importi e quanto sia male a proposito di questo stato disperare tanti cittadini notabili e bene qualificati di ricchezze, di parentado e di riputazione? non è questo fare la via alle discordie, non è questo dare fomento a chi desidera la mutazione del governo, non è questo aprire una porta a Piero de’ Medici?

La prima cosa a che ha pensare chi ordina gli stati e le republiche, è disporre le cose in modo che ognuno abbia nel grado suo a contentarsi ragionevolmente, e che non sia data a nessuno causa giusta o necessitá di desiderare cose nuove; perché la cittá è uno corpo di tutti e’ cittadini, e quando uno membro è male condizionato, non può el resto del corpo stare bene, né si chiama libertá, quando una parte della cittá è oppressata e male trattata dagli altri, né è questo el fine a che furono trovate le libertá, che fu che ogn[uno]1 sicuramente potessi conservare il grado suo; anzi è una tirannide licen[zio]sa, o una licenzia tirannica, la quale non solo è iniqua mentre che d[ura], ma per le discordie e per e’ mali effetti che ne nascono, dura poco, perché dove [una] parte è male contenta nascono le divisione, e dove sono le difvisiojne non può essere la stabilitá, anzi, come dice el Vangelo, bisogna [che el] regno in sé diviso vadia in desolazione.

Dice el collegio che chi ha pos[sessione] è pernizioso alla cittá, perché gli pare essere grande e per ambizione pretende [a cose] nuove e stati stretti; in che dimostra avere o molta passione o poca notizia delle cose del mondo, perché è tutto el contrario; che, come si dice in proverbio, chi ha cattivo giuoco rimescola le carte, ed e’ malistanti sono quegli che per disperazione si mettono a ogni pericolo; ma chi ha bello stato, non lo mette volentieri a sbaraglio, e chi è ricco, massime [p. 212 modifica] di possessione che non si possono portare via, si guarda molto bene di non entrare in luogo da perdere la roba; anzi, se io non mi inganno, questi tali communemente temporeggiano volentieri gli stati che reggono; e se bene sotto uno tiranno sperassino di avere buono luogo, tamen la servitú di sua natura, massime in una cittá come la nostra, dispiace a ognuno; ed io non dubito che se questa nostra libertá procederá temperatamente e non si caccerá innanzi e’ loro pari, che se bene ora stanno sospesi, perché non si vede ancora se le cose hanno a andare confuse o ordinate, che loro vedendo el vivere populare ordinato, vi riposeranno volentieri, perché vi aranno parte conveniente e non aranno paura di persona, né saranno sforzati a stare sotto a nessuno.

È dunche uficio delle Prestanzie vostre, potendo avergli per amici ed amatori di questo vivere, non cercare di fargli inimici, massime che, se voi pensate bene, questa gravezza non si può continuare tanto che se ne cavi frutto assai, perché di riscosso gitterá poco e batterá tanto costoro che gli distruggerá presto o gli sforzerá a vendere le possessioni; il che manifesta tanto piú la iniquitá di questa gravezza [e] la malignitá di chi la conforta, perché al publico fará poco utile ed al privato male assai.

Non voglio rispondere particolarmente a’ disordini che ha detto nascere dalle troppe possessioni, perché la piú parte delle considerazioni che ha fatto sopra a questo, sono state cose inette ed evidentemente false. È vero che le spese superflue sono uno morbo grande alla cittá, ma nascono piú da chi è caldo di danari, che da chi ha possessione, perché quegli possono spendere con poca incommoditá, questi sono ricchi, ma, come si dice in proverbio, male agiati; però stanno piú tosto con commoditá che con pompa, perché non hanno modo a disordinare; e se le spese superflue sono nocive, ed a chi spende troppo e per esemplo degli altri, come è la veritá, non s’ha per questo a pensare di tórre el suo a chi lo possiede giustamente, ma come fanno le altre cittá, cercare di raffrenare le troppe spese con le legge e cogli ordini buoni. [p. 213 modifica]

Cosí se alcuno abbraccia ed usurpa troppo ingiustamente, provedervi con le legge e col punirgli, non per odio di questo tórre el suo a chi l’ha acquistato giustamente e co’ modi ragionevoli; né è vero che l’avere alcuni troppe possessione sia causa che gli altri n’abbino poche, perché io non veddi mai mancare possessione a chi ha avuto da[na]ri; troppo spesso, o per mala fortuna o per colpa loro, questi tali sono constretti a [ven]dere, in modo che chi non ha, procede da non avere danari; né sperate che questa d[eci]ma scalata ve ne dia, perché sforzerá e’ cittadini a venderle, m[ai] a donarle, e chi non ha danari da comperarne, n’ará cosí poche doppo [le] decime scalate, come n’ha ora.

Allega e’ romani e lacedem[òni]; che questi divisono le possessione per testa, gli altri proibirono che non se ne potessi [avere] piú che una certa quantitá. Ed in questo ha detto parte la falsitá, parte non ha detto [la cosa] come sta. Perché la legge agraria, che cosí chiamorono e’ romani la divisione della possessione, fu molte volte tentata dalla plebe, né mai ottenuta; ma fu bene causa, el tentarla, di seminare grandissime discordie e tumulti nella cittá; e la legge che non si potessi avere piú che una certa quantitá di terreni per uno, fu ottenuta, ma alla fine non andò innanzi, o perché paressi inutile o perché dessi cagione di scandoli. A Lacedemone, è vero che furono divise le possessione; perché chi ordinò quella republica ebbe uno altro obietto e volle avezzarla in sulle arme ed in sulla povertá, acciò che non avessino altro pensiero che di esercitarsi nelle arme e nelle virtú; e però levorono via ancora e’ danari, le mercatantie ed e’ commerzi del guadagnare e tutte le commoditá e piaceri a che si adoperano le ricchezze; e fece uno modo di vivere salvatico ed aspro, el quale io non voglio biasimare per reverenzia di quella republica, ma dico bene che o per la difficultá che avessi questo modo di vivere, o perché non ne seguitassino e’ frutti disegnati, intra tante cittá e republiche che sono state in tanti secoli, non ne fu mai forse nessuna altra che pigliassi questa via, ed a’ tempi nostri sarebbe impossibile riducere gli uomini [p. 214 modifica] a uno vivere simile; el quale chi vuole imitare, bisogna che levi via non solo le possessione, ma e’ danari, le mercatantie, el commerzio de’ forestieri ed ogni umanitá, e non provegga nelle possessioni sole, perché volendo valersi di quello esemplo, è necessario seguitarlo in tutto o non ne fare menzione, e chi volessi tenere quella via, bisognerebbe avere le arme in mano come loro, altrimenti crederresti fare bene e faresti male. Perché, poi che voi non siate dati alle arme e sarebbe diffícile a persuadervi che voi le pigliassi e lasciassi le mercatantie ed e’ traini vostri antichi di vivere, come potete voi difendere lo stato vostro se non con le ricchezze, con le quali conducete e’ soldati forestieri e fate le altre prò visione che bisognano a difendere questo dominio e la vostra libertá?

Sono adunche cose facili a ragionare, ma diffícili, e per dire meglio, forse impossibili a esequirle; perché tutte non si possono fare, e chi ne fa una e non le altre, disordina e non ordina, e chi vuole disfare chi ha possessione e mantenere e’ mercatanti e chi ha danari, come ha detto questo nostro collegio, dice cose contrarie, perché non si può guastare l’una che non si indebolisca l’altra; perché se al mercatante o al danaroso è proibito el comperare quantitá di possessione ed assicurare uno stato fermo a’ suoi figliuoli, giá bisogna si raffreddi la voglia di fare mercatantie e travagliare tuttodí tutto in aria, poi che non può posare uno piede in terra, e poi che manca uno di quegli fini per li quali e’ mercatanti sogliono travagliare, cioè di fare tanto stabile, che ciascuno de’ suoi figliuoli si possa mantenere onorevolmente; el quale levandogli, se gli tagliano le braccia, e non avendo dove smaltire el suo mobile grosso, perché non si può sempre impiegare ogni cosa in mercatantie, e quando bene si possa, gli uomini veggono volentieri una parte dello stato suo al sicuro, e però o gli terranno nella cassa inutilmente, o gli presterranno a usura, che è cosa perniziosa e vituperosa; e queste saranno le virtú che nasceranno dal battere chi ha possessione.

Ma diciamo piú oltre: se si comincia con queste disonestá a tórre al ricco le sue possessione ed a governare la cittá con [p. 215 modifica] questi modi esorbitanti, che sicurtá ara el mercatante o chi ara danari, che spianate che saranno le possessioni non si gli dirizzi adosso una altra gravezza simile? Massime che questo delle possessioni sará giuoco di poche tavole, perché, come io ho detto, la decima scalata grava assai e riscuote poco, e chi vuole andare con questa gravezza, bisogna vi torni spesso. Aranno questa paura ed aranno ragione di averla; in modo che e’ mercatanti non solo si leveranno dalle faccende per coprire la sua ricchezza, ma penseranno piú tosto andare a abitare altrove. Vedete che giá el collegio consentiva di fare el medesimo a questi che hanno monte, se non ci fussi rispetto della fede publica, della quale lui tiene conto assai, poi che è confortatore che sia rubato e spogliato, come alla strada, chi ha acquistato le possessioni sotto la fede delle nostre legge e della nostra giustizia; e come sará aperta la via a questi modi ingiusti ed iniqui, e si vedrá che le Prestanzie vostre comincino a prestare orecchi a questi suscitatori del popolo, dissipatori delle libertá e de’ buoni governi delle republiche, e che e’ piú poveri, per scaricarsi di quello peso che di ragione gli toccherebbe, non abbino rispetto a gravare iniquamente e’ ricchi e distruggergli, compariranno tuttodí di questi susurroni che vi metteranno innanzi cose estravagante e disoneste, le quali parranno al gusto cibi dolci, ma gli effetti mostrerranno alla fine che sará stato veleno; perché dove si comincia a dare adito a queste invenzione perniziose, e governare la cittá, non col parere de’ prudenti, ma con lo appetito della multitudine, quivi bisogna sia pieno di confusione e di disordine, e le cittá si distruggono, si per le discordie che ne nascono, si perché gli uomini si voltano a cattiva via, sperando co’ tumulti e con le legge inique potere acquistare apresso a voi roba ed onori, donde, in luogo della virtú, della industria, dello affaticarsi, nascono ozio, rapacitá, ignavia e male parole e peggiori fatti. Co’ quali modi è impossibile che si conservi una libertá inveterata, bene fondata e sicura, non che la nostra che è nuova ed ancora in aria. È pure ancora nelle istorie vostre e nelle memorie degli uomini assai fresca la novitá de’ Ciompi [p. 216 modifica] che condusse questa cittá in ultimo periculo di perdere a un tratto ogni cosa. Non crediate che la origine donde la nacque, fussi piú disordinata che questa, anzi fu forse piú modesta; ma è la natura delle cose che e’ principi cominciano piccoli, ma se l’uomo non avvertisce, multiplicano presto, e scorrono in luogo che poi nessuno è a tempo a provedervi.

Ricordatevi come stanno le cose nostre: siamo sanza Pisa che è l’occhio del nostro dominio e si può quasi dire l’anima di questa cittá; abbiamo fuora uno rebelle potente, ed el maggiore che avessi mai questa cittá, perché è di una casa che ha dominato sessanta anni questo stato, e però tra noi e nel nostro dominio è forza che abbia molti amici e dependenzie, e co’ forestieri assai riputazione. Queste piaghe, se le volete sanare, non bisogna farle maggiore con lo essere in discordia tra noi, con fare uno governo confuso, con lo accrescere numero di mali contenti, col mettere in disperazione e’ cittadini potenti e qualificati; perché faccendo questi disordini non si attenderá alla recuperazione di Pisa, non arete riputazione co’ principi, farete che per uno amico che ha Piero de’ Medici in questa cittá, ce n’ará dieci, e di quegli che se voi non gli aspreggiassi e vedessino le cose dirizzarsi a uno vivere sicuro ed ordinato, gli sarebbono inimici come ciascuno di voi.

Però è uficio vostro, prestantissimi cittadini, se voi desiderate conservare la vostra libertá ed el vostro pacifico vivere, se voi desiderate rendere a questa cittá el suo antico dominio e riputazione, ributtati questi che vi propongono ordini tumultuosi e confusi, abracciare la unione e la concordia de’ vostri cittadini e procedere nelle cose vostre giustamente e con tale discrezione, che ognuno speri potere vivere sicuro alla ombra di questo governo e conservare le sue ricchezze e qualitá, e tagliare tutti e’ principi delle cose che possino mettere terrore a chi desidera vivere del suo, come è questa decima scalata, la quale a’ bisogni della republica è di pochissimo utile, a spaventare e’ ricchi è di grandissimo male. Il che se voi farete, sará da ognuno che ha buone qualitá adorata la libertá ed el governo populare, manterrassi la concordia ed unione [p. 217 modifica] de’ cittadini, e potremo sperare di avere a fruire drento e fuora di tutte quelle felicitá che può sperare una republica. Ma se comincerete a pigliare altro cammino, questa povera cittá si conducerá presto, come io dissi nel principio, in qualche grandissimo precipizio, ed ará causa di dolerci tanto piú, perché ne sareno stati cagione noi medesimi e non altri.


Note

  1. In questa e nelle due pagine seguenti si è dovuto supplire parole o sillabe mancanti nel ms., dove lo staccarsi di un foglio ha guastato il margine esterno. Abbiamo completato servendoci del testo Canestrini perché è probabile che, quando egli trascrisse, le lacune dovute al guasto fossero minori.