Dialoghi dei morti/17
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Traduzione dal greco di Luigi Settembrini (1862)
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17.
Menippo e Tantalo.
Menippo. Perchè piangi, o Tantalo? perchè meni tante smanie stando presso al palude?
Tantalo. Perchè, o Menippo, i’ muoio di sete.
Menippo. E t’incresce tanto di curvarti per bere, o attignere col cavo della mano?
Tantalo. È indarno se mi curvo, chè l’acqua mi fugge come mi sente vicino: e se ne prendo una giumella e l’appresso alla bocca, non giungo a bagnarne l’estremità del labbro, chè scorremi tra le dita non so come, lasciandomi la mano asciutta.
Menippo. Strana pena è cotesta, o Tantalo. Ma dimmi, che bisogno hai tu di bere? Tu non hai corpo, ma sta sepolto in Lidia; quello poteva aver fame e sete: saresti tu uno spirito affamato ed assetato?
Tantalo. E in questo sta il tormento, che lo spirito ha sete come fosse corpo.
Menippo. Io lo crederò perchè lo dici tu che sei punito con la sete. Ma che hai tu a temere? forse di morire per manco di bevanda? Io non so che ci sia un altro inferno, nè che qui si muoia e si vada altrove.
Tantalo. Tu dici bene: ma questo è parte della pena, desiderar bere senza averne bisogno.
Menippo. Tu se’ matto, o Tantalo; e par che davvero hai bisogno di bere una buona dose d’elleboro; chè patisci il contrario dei morsicati dai cani arrabbiati; non temi l’acqua ma la sete.
Tantalo. Neppure l’elleboro i’ rifiuterei bere, o Menippo, purchè l’avessi.
Menippo. Stà certo, o Tantalo, che nè tu nè alcuno de’ morti beve, perchè è impossibile: eppure non tutti, come te, sono condannati ad aver sete dell’acqua che sfugge da loro.