16. Diogene ed Ercole

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Luciano di Samosata - Dialoghi dei morti (Antichità)
Traduzione dal greco di Luigi Settembrini (1862)
16. Diogene ed Ercole
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16.

Diogene ed Ercole.


Diogene. Non è questi Ercole? È proprio desso; l’arco, la clava, la pelle del leone, la persona, tutto d’Ercole. Ed è morto egli figliuolo di Giove? Dimmi, o gran vincitore, se’ tu un morto? Io t’offeriva sagrifizi su la terra come ad un dio.

Ercole. E bene li offerivi. Ercole sta in cielo tra gli Dei, ed è marito d’Ebe piè-leggiadra: io sono l’ombra sua.

Diogene. Come dici? ombra del dio? Ed è possibile che uno sia metà iddio, e metà morto?

Ercole. Sì: perchè non morì egli, ma io, immagine sua.

Diogene. Capisco; in suo scambio egli diede te a Plutone, e tu ora sei morto in vece sua.

Ercole. Appunto.

Diogene. Ma come Eaco, che è sì attento, non si accorse che tu non eri colui, ed accolse un Ercole scambiato che gli si presentò innanzi?

Ercole. La simiglianza era perfetta.

Diogene. Ben dici: sì perfetta da esser tu egli. Ma bada che non sia il contrario, che tu sei Ercole, e che l’ombra tua sposò Ebe fra gli Dei.

Ercole. Sei un temerario e linguacciuto: e se non cessi di motteggiarmi, ti farò vedere di qual dio son l’ombra io.

Diogene. Tu sfoderi ed appronti l’arco: oh che? vuoi far paura ad un morto? Ma via dimmi un po’ del tuo Ercole: quando egli viveva, stavi tu con lui, ed eri ombra anche allora? o pure eravate uno in vita: e quando moriste vi separaste, egli volossene tra gli Dei, e tu ombra venisti in inferno come dovevi?

Ercole. I’ non dovrei rispondere ad uno che cerca appiccagnoli per beffare; ma ti voglio dire anche questo. Ciò che in Ercole era di Anfitrione, morì, e son io tutto: ciò che era di Giove sta in cielo con gli Dei.

Diogene. Ora capisco bene: due Ercoli, tu dici, partorì Alcmena ad un punto, quel d’Anfitrione, e quel di Giove: onde voi vi scambiaste essendo gemelli similissimi. [p. 308 modifica]

Ercole. No, o sciocco: entrambi eravam lui.

Diogene. Oh questo non m’è facile a capire: due Ercoli mescolati in uno, salvo che non eravate come un centauro, uomo e Dio in una sola natura.

Ercole. Ma ciascuno degli uomini non è composto di due, anima e corpo? Perchè dunque non credere che l’anima sia in cielo, perchè apparteneva a Giove, ed io che son mortale fra i morti?

Diogene. Diresti bene, o caro Anfitrioniade, se tu fossi corpo: ma tu ora sei ombra incorporea; onde tu corri pericolo di aver fatto tre Ercoli.

Ercole. Come tre?

Diogene. Ecco qui: uno è in cielo, tu ombra fra noi, e il corpo che già diventò polvere su l’Oeta. Ma bada di trovarti un terzo padre del corpo.

Ercole. Tu devi essere un audace sofista. Chi se’ tu?

Diogene. L’ombra di Diogene Sinopeo: che non abito fra gl’immortali Iddii, ma mi sto tra questi morti dabbene, e mi rido di queste fredde baie.