Di un Semisse di Roma con etrusche iscrizioni
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DI UN SEMISSE DI ROMA
CON ETRUSCHE ISCRIZIONI
Un semisse romano del peso di gr. 18,4, che nel dritto ha la testa di Giove a destra, e nel rovescio la prua di nave a destra, sotto la quale si scorge appena la M del nome di ROMA, per essere la moneta alquanto consunta, offre la specialità di portare incise da ambe le parti alcune lettere etrusche. Fu ritrovato l’anno scorso in Arezzo nella riva sinistra del fiume Castro, che traversa la città, e lambe la pendice occidentale del poggio chiamato del Sole. Dove fu raccolto apparivano le certe vestigia di sepolcri disfatti con dei vasetti infranti a colore nero lucente od iridato, che spettavano alle fabbriche etrusco-campane proprie del terzo, e durate fino oltre il secondo secolo a. C.
Il poggio del Sole, che fu incluso entro la città di Arezzo dal vescovo Tarlati nel 1319, era fuori nel tempo anteriore e specialmente nell’etrusco, perocché allora le mura coronavano la sola collina, dove sta la fortezza. Il fiume Castro la divideva dal poggio del Sole, che fu scelto dagli Etruschi per la loro precipua necropoli, e da me descritta negli Annali dell’Istituto archeologico (1872, p. 270 e segg.), dove ho dimostrato, che incomincia dal quarto secolo a. C. (e forse quinto), e discende fino al tramonto della romana repubblica, per essersi trovati presso il fiume varii sepolcri con vasi corallini, che si facevano allora in Arezzo. È pertanto naturale che siansi incontrate le tombe nella pendice occidentale, e in una di queste il semisse, essendo stato il colle tutto un sepolcreto, quantunque adesso per l’inalzamento delle mura con bastioni fatto fare da Cosimo I (1552), e per i molti edifizi e le coltivazioni non vi sia rimasto dell’antico nessun vestigio.
Il semisse, ritenendo il peso di gr. 18,4, appartiene alla serie sestantaria, o alla riduzione della primitiva libbra a due oncie dell’asse di Roma: onde il suo tempo è bene stabilito, avendo avuto principio circa l’anno 484 di Roma, e terminando al 537 (216 a. C.), allorché nella discesa di Annibale in Italia, l’asse subiva, specialmente per le strettezze dell’erario, un’altra riduzione, da due ad un’oncia, ritenendo il valore nominale. Ne venne che le frazioni furono emesse nella metà del loro peso, e perciò il semisse, che esaminiamo, col superare la mezz’oncia è anteriore all’anno 537 di Roma : non di molto però, essendo il suo peso assai inferiore al legale di un’oncia, quale doveva essere nel principio della riduzione sestantaria, ed indicando la disposizione alla nuova riforma monetale.
Le lettere etrusche, che si veggono da ambe le parti, furono incise a colpo di piccolo scalpello di taglio assai fino: da che è provenuto che sono tutte angolose e non rotonde. Sia per questo, o per la lieve incisione, o per la poca conservazione della moneta, la loro lettura riesce un po’ difficile, né sempre certa. Quelle del diritto cominciano sotto alla testa di Giove, e gli girano dinanzi fin sopra alla testa, e palesano il nome seguente:
Quelle del rovescio offrono maggiore difficoltà e la prima di loro si parte dal riccio od acrostolio della prora, e quindi girano da destra a sinistra :
Si può ben supporre che il ve col rimanere più distaccato dell’altre lettere, sia l’usitato prenome di ve per vele (velius). Ora ritenendo, per la ragione che si dirà, che ancora il nome del diritto formi un’intera leggenda, avremo : VE CRIVEPE AREVIZIES. Il qual nome e cognome, sebbene nuovi nell’etrusca e latina epigrafia, non escono dalle note radici della lingua italica, e si possono interpretare : Velius Crivepius Arevisii filius: notando che gli Etruschi scrivevano vipe e vepe per Vibius, onde ci consentono di volgere quello in Crivibius.
Si potrebbe dubitare che, invece di un solo nome personale, dovessimo pensare a due, come fossero duumviri, che appariscono nelle monete, e specialmente nelle coloniali. Ma facilmente si prova non esser questo il caso, in quanto che il nome dei duumviri è battuto colla stessa moneta, e non già inciso, per essere essi gli zecchieri. Il nome etrusco venne inciso nel semisse per notare a chi spettava, sia per proprietà o per offerta avutane. Onde è chiaro che posto nel sepolcro come stipe votiva, non si può pensare che appartenga a due ma ad una sola persona, determinata ancora col nome del padre nel genitivo di AREVIZIES.
L’incisione del nome personale etrusco in un semisse romano, sebbene cosa del tutto nuova, ha la sua ragione nelle costumanze di allora. Oltre il segnarlo nell’urna, che racchiudeva il corpo e le ceneri del morto, si notava pure talvolta ancora negli oggetti a lui appartenuti, o deposti dalla pietà dei congiunti secondo il rito. Ciò non solo serviva a meglio distinguere nella stessa tomba quanto gli doveva spettare, ma ancora perchè non fossero gli oggetti, specialmente quelli di comune uso, adoperati dai viventi. A questo fine s’ incideva la voce SVTHINA (sepulcrale) a traverso alla parte levigata degli specchi volsiniesi : a questo fine spezzavansi di sovente armi e vasi : e per questo si proseguiva a deporre l’aes rude nel secolo terzo (a. C), quando era già in uso la moneta colle sue impronte : e perfino ho constatato, che nel primo secolo si spezzavano per mezzo gli assi onciali, onde non tornassero nel mercato. Un esempio pure rarissimo è a noi giunto; quello di veder incise in un asse sestantario le parole: FORTVNAI STIPE (B. d’Ailly, Recherches sur la monnaie rep. pl. LIV, p. 12), per denotare che quello faceva parte di una stipe alla Fortuna, forse ancora per erigerle un tempio. E così osservando le contromarche nei nummi della repubblica, le quali sono in massima parte indecifrabili, possiamo ben supporre che alcune siano contrassegni di stipi sacre, o di nummi collectitii a scopo determinato.