Di cotanti gravosi aspri martiri
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IV
PER AGOSTINO BARBARIGO
PROVVEDITORE DELL’ARMATA
Morì nella battaglia di Lepanto.
Di cotanti gravosi aspri martiri,
Di cotanti dogliosi aspri lamenti,
Che debita pietate, altrui non nota,
A me svelle dal core,
5Non sia chi, prego, in ascoltar s’adiri:
Volgan più tosto il cor, volgan le genti
Morte a biasmar, che inesorabil ruota
Fortuna di dolore;
Fatta avversa d’Italia al primo onore,
10La falce in giro mena,
E colà miete, ove le dia più pena.
Ma tu, che siedi in grembo al gran Tirreno,
Coronata d’olivo, alta Reina,
Dalla strage barbarica nemica
15Il Barbarigo altero
Raccogli, e chiudi alla bell’Adria in seno
La cener vincitrice peregrina:
Fia sopra il cener suo tempo, che dica
Il vïator straniero:
20Ecco il flagel dell’ottomano Impero:
Già gran fulmine armato,
Ora lume d’Italia in Ciel traslato.
Tal bene apparse folgorando in guerra
Là dove tra’ bei rai suo pregio eterno
25Ammirò l’onda e la riviera Argiva:
E ben lauree gemmate
Tesseva al gran valor la patria terra;
Ma duramente il vinse arco d’inferno,
Quando più il varco alla vittoria apriva.
30Spoglie, archi, armi lunate,
Ampio sangue infedel, viste beate
Intorno al mar tingea;
Ei grave in sul morir gli occhi chiudea,
Qual dunque dal sonoro almo Ippocrene,
35Qual dalle selve del gentil Permesso,
Altra chiamerò Musa al mio dolore,
Salvo quella che spira
Dolci modi di lagrime e di pene?
O Febo, or tu mi cingi atro cipresso,
40E sì tempra le corde auree canore,
Che n’ululi la lira:
Io Citarista di tormento e d’ira,
Io dell’Italia mesta
Misero Cigno alla stagion funesta.