Di che stupido t'ammiri
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XIX
IL NANO DI NOME «AMICO»
Di che stupido t’ammiri,
tu che miri
la mia picciola statura?
Non fu avara, come credi:
se ben vedi,
mi fu prodiga natura.
Nel mio breve corpicello
il modello
ella fe’ d’un gran colosso:
novo Encelado compose
e mi pose
su le spalle un monte addosso.
Quando nacqui, influssi rei
ai dí miei
non promise astro nemico;
ma in compendio il ciel cortese
farmi intese
un grand’uomo e grande amico.
S’al di fuori altrui son scherno,
ne l’interno
non la cedo al magno Atlante:
picciol son ne la sembianza,
ma in sostanza
corpo nano ha cor gigante.
Non mi dir ch’io sia pigmeo,
che non feo
guerra mai che con le gru.
Vieni in prova, se t’aggrada,
con la spada,
s’anch’Orlando fossi tu.
Ben è ver che corto ho il braccio,
ch’al mostaccio
arrivarti non potrò.
Ma se in alto piú non saglio,
io di taglio
sul tallon ti ferirò.
Poco son ma tutto core,
e timore
non alberga nel cor mio;
temo sol quando m’assale
col suo strale
picciol nano qual son io.
Questo è Amor, che, pargoletto,
al mio petto
guerra fa con forze estreme:
ei mi fere e strugge in duolo,
m’arde, e solo
tal nemico amico teme.