Delle feste e dei Giuochi dei Genovesi/Introduzione

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Delle feste e dei Giuochi dei Genovesi Capitolo primo
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Avvertimento dell’Autore.


Nel 1866 ho pubblicato un libro, col titolo Della vita privata dei Genovesi; dove pigliava a considerare questo popolo nella foggia delle abitazioni e nella splendidezza delle suppellettili, ne’ conviti, nelle vestimenta ed in ciò che propriamente denominiamo costume. Quella scrittura, non certamente per merito mio, sibbene per l’assoluta novità del soggetto (che del domestico vivere de’ Genovesi niuno avea per l’innanzi impreso a discorrere di proposito) e per la copia dei documenti prodotti, mi procurò assai benevoli eccitamenti a continuare in tal fatta ricerche. Valse anche a confermarmivi l’altrui esempio; e fu quello del sig. Riley, il quale tutto fondandosi sulla analisi di curiosi documenti, mandava in luce or non è molto le sue Memorie di Londra tessendo in esse un quadro vivissimo della vita municipale e dei costumi borghesi nella capitale dell’Inghilterra pei secoli di mezzo.

Se non che, io rifletteva pur meco stesso, come la esatta cognizione de’ costumi valga di frequente a chiarirci le cause e la giusta portata di molti fatti, i quali altrimenti non si basterebbe a spiegare; e come a questo fine appunto alcuni robustissimi ingegni pigliassero nel nostro secolo (e con indicibile giovamento delle storiche [p. 40 modifica]discipline) a considerare le condizioni morali ed economiche delle epoche più memorande o de’ popoli più illustri che ci hanno precorsi: Boeck per gli Ateniesi, Dureau de la Malle pei Romani, Cibrario per tutto il mondo civile del medio evo. Di più tali studi, volti abilmente a colorire una qualche imaginosa finzione, possono attrarre ed invogliare anche i più schivi delle profonde disquisizioni, e vestire di liete forme la storica severità. Donde il viaggio d’Anacarsi in Grecia del Barthelemy e quello di un Gallo a Roma sotto Augusto del Dezobry, la descrizione del palazzo di Scauro del Mazois, il Platone in Italia del Coco, i Martiri di Chateaubriand, il Tito Vezio di Castellazzo, la Fabiola di Wiseman, la Calista di Neweman, i Viaggi del Petrarca, e somiglianti.

Ma, per tornare al proposito mio, ecco un primo frutto dei benevoli incoraggiamenti onde ho toccato di sopra, alcune Dissertazioni cioè intorno le feste ed i giuochi de’ Genovesi, le quali ho distribuite nel modo che segue:

I. Le feste della Repubblica intese a celebrare i prosperi eventi, a solennizzare l’avvenimento e la incoronazione de’ suoi Dogi, ad onorare in se stessa i Pontefici e Principi che si recavano a visitarla.

II. Le feste patrizie: i teatri e le veglie, i riti nuziali ed i funerarii.

III. Le feste popolari: il carnovale, il maggio, le sagre, le casaccie.

IV. I giuochi e gli esercizi diversi, tra i quali ho posti quelli della caccia e della pesca.

Il periodo che io mi propongo propriamente di considerare è il medio evo; nel quale appunto, per dirla con Cesare Cantù, «sovra tutto piace quella universale pubblicità, al tutto differente da oggi, quando la gioia, come il dolore, si costipa fra le pareti domestiche, o al più si comunica a quelli che chiamiamo nostri eguali. Allora [p. 41 modifica]pareva contentezza di tutti quella d’un solo; e le nozze si festeggiavano con una corte bandita, i funerali coll’intervento di tutta una città; ballavasi sulle piazze, e con chi primo capitasse»1. Giovami però il ripetere qui la dichiarazione già fatta allorché scrissi Della vita •privata, cioè ch’io non mi reputo poi così assolutamente chiuso entro i confini di quella età, da non poterli trapassare ogniqualvolta l’analogia del soggetto o la natura del racconto sembrino condurmi agevolmente a metter piede in terreno meno rimoto, ed il lasciarmivi correre contribuisca a dare al mio lavoro uno sviluppo che sia meno imperfetto.


Genova . aprile 1870.


  1. Cantù, Storia degl’Italiani, vol. II, pag. 666.