Della tirannide (Alfieri, 1927)/Libro primo/Capitolo XVI
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Capitolo Decimosesto
Se si possa amare il tiranno e da chi.
Colui che potrá impunemente offendere tutti, e non essere mai impunemente offeso da chi che sia, sará per necessitá temutissimo, e quindi per necessitá abborrito da tutti. Ma costui potendo altresí beneficare, arricchire, onorare chi piú gli piace, chiunque riceve favori da lui non può senza una vile ingratitudine, e senza essere assai peggiore di lui, non amarlo. Rispondo a ciò che il tutto è verissimo; e piú d’ogni cosa vero è che chiunque riceve favori dal tiranno suol essergli sempre ingrato nel cuore, ed è quasi sempre assai peggiore di lui.
Dovendone assegnar le ragioni, direi che il troppo immenso divario fra le cose che il tiranno può dare e quelle che può togliere, rende necessario ed estremo lo abborrimento nei molti oltraggiati, e finto e stentato l’amore nei pochi beneficati. Egli può dare ricchezze, autoritá e onori supposti; ma egli può togliere tutto ciò ch’ei dá, e di piú la vita, e il vero onore: cose, che non è in sua possanza di dare egli mai a nessuno.
Con tutto ciò, la totale ignoranza dei propri diritti può benissimo far nascere in alcuni uomini questo funesto errore, di amare in un certo modo colui che spogliandoli delle loro piú sacre prerogative d’uomo, non toglie però loro la proprietá di alcune altre cose minori; il che, a parer di costoro, egli potrebbe puranche legittimamente, o almeno con impunitá, praticare. E certo uno stranissimo amore fia questo, e in tutto per l’appunto paragonabile a quell’amore che si verrebbe ad aver per un tigre, che non ti divorasse potendolo. Cadranno in questo stupido affetto le genti rozze e povere, che non hanno altra felicitá se non quella di non vedere mai il tiranno e di neppure conoscerlo; e costoro assai poco verranno a temerlo, perché pochissimo a loro rimane da perdere; onde una certa tal quale giustizia venendo loro amministrata in nome di esso, la loro irreflessiva ignoranza fa loro credere che, senza il tiranno, neppur quella semi-giustizia otterrebbero. Ma non potranno certamente mai pensare in tal modo coloro che tutto dí se gli accostano, e che ne conoscono l’incapacitá o la reitá; ancorché ne ritraggano essi splendore, onori e ricchezze. Troppo è nota a questi pochi la immensa potenza del tiranno, troppo care tengono essi quelle ricchezze che ne han ricevute, per non temere sommamente colui che le può loro nello stesso modo ritogliere; e il temere e l’odiare sono interamente sinonimi.
Ma pure, il timore, pigliando nelle corti la maschera dell’amore, vi si viene a comporre un misto mostruosissimo affetto, degno veramente dei tiranni che lo ispirano e degli schiavi che lo professano. Quello stesso Seiano che, nella grotta crollante e vicinissima a rovinare, salvava la vita a Tiberio con manifesto pericolo della propria, avendone egli dappoi ricevuti infiniti altri favori, congiurava pur contro lui. Seiano amava egli Tiberio in quel punto in cui pose se stesso a un cosí evidente pericolo per salvarlo? Certo no; Seiano in quel punto serviva dunque alla propria sua ambizione, nello stesso modo che ogni giorno vediamo nei nostri eserciti i piú splendidi e molli e corrotti officiali di essi affrontare la morte, non per altro se non per far progredire la loro ambizioncella e per maggiormente acquistarsi la grazia del tiranno. Seiano abborriva egli maggiormente Tiberio quando gli congiurò contra che quando il salvò? Assai piú certamente abborrivalo dopo, perché la immensitá delle cose da lui ricevute, gli facea piú da presso e con maggiore terrore rimirare la immensitá, piú grande ancora, delle cose che quello stesso Tiberio gli poteva ritogliere. Quindi, non si credendo Seiano in sicuro, se egli non ispegneva quella sola potenza che avrebbe potuto trionfar della sua, non dubitò poscia punto, anzi con lungo e premeditato disegno, imprese a togliersi il tiranno dagli occhi. Né ai Tiberi, in qualunque tempo o luogo essi nascano o regnino, toccar mai potranno altri amici se non i Seiani. Se dunque il tiranno è sommamente abborrito da quegli stessi ch’egli benefica, che sará egli poi da quei tanti che direttamente o indirettamente egli offende o dispoglia?
La sola intera stupiditá dei poveri e rozzi e lontani può dunque (come ho di sopra dimostrato) amare il tiranno, appunto perché nessuno di questi lo vede né lo conosce; e questo amarlo va interpretato il non affatto abborrirlo. Da ogni altra persona qualunque, nella tirannide, si può fingere bensí e anche far pompa di amare il tiranno; ma veramente amarlo non mai. Questa servile bugiarda ed infame pompa verrá per lo piú praticata dai piú vili; e da quelli perciò i quali, maggiormente temendolo, maggiormente lo abborriscono.