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libro i - capitolo xvi
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Capitolo Decimosesto

Se si possa amare il tiranno e da chi.

Colui che potrá impunemente offendere tutti, e non essere mai impunemente offeso da chi che sia, sará per necessitá temutissimo, e quindi per necessitá abborrito da tutti. Ma costui potendo altresí beneficare, arricchire, onorare chi piú gli piace, chiunque riceve favori da lui non può senza una vile ingratitudine, e senza essere assai peggiore di lui, non amarlo. Rispondo a ciò che il tutto è verissimo; e piú d’ogni cosa vero è che chiunque riceve favori dal tiranno suol essergli sempre ingrato nel cuore, ed è quasi sempre assai peggiore di lui.

Dovendone assegnar le ragioni, direi che il troppo immenso divario fra le cose che il tiranno può dare e quelle che può togliere, rende necessario ed estremo lo abborrimento nei molti oltraggiati, e finto e stentato l’amore nei pochi beneficati. Egli può dare ricchezze, autoritá e onori supposti; ma egli può togliere tutto ciò ch’ei dá, e di piú la vita, e il vero onore: cose, che non è in sua possanza di dare egli mai a nessuno.

Con tutto ciò, la totale ignoranza dei propri diritti può benissimo far nascere in alcuni uomini questo funesto errore, di amare in un certo modo colui che spogliandoli delle loro piú sacre prerogative d’uomo, non toglie però loro la proprietá di alcune altre cose minori; il che, a parer di costoro, egli potrebbe puranche legittimamente, o almeno con impunitá, praticare. E certo uno stranissimo amore fia questo, e in tutto per l’appunto paragonabile a quell’amore che si verrebbe ad aver per un tigre, che non ti divorasse potendolo. Cadranno in questo stupido affetto le genti rozze e povere, che non hanno altra felicitá se non quella di non vedere mai il tiranno e di neppure conoscerlo; e costoro assai poco verranno a temerlo, perché pochissimo a loro rimane da perdere; onde una certa tal quale giustizia venendo loro amministrata in nome di esso, la loro