Della tirannide (Alfieri, 1927)/Libro primo/Capitolo XV
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Capitolo Decimoquinto
Dell’amor di se stesso nella tirannide.
La tirannide è tanto contraria alla nostra natura, ch’ella sconvolge, indebolisce od annulla nell’uomo presso che tutti gli affetti naturali. Quindi non si ama da noi la patria, perché ella non ci è; non si amano i parenti, la moglie ed i figli, perché son cose poco nostre e poco sicure; non vi sono veri amici perché l’aprire interamente il suo cuore nelle cose importanti può sempre trasmutare un amico in un delatore premiato, e spesso anche (pur troppo!) in un delatore onorato. L’effetto necessario che risulta nel cuor dell’uomo dal non potere amar queste cose tutte su mentovate, si è di amare smoderatamente se stesso. E parmi, che ne sia questa una delle principali ragioni: dal non essere securo, nasce nell’uomo il timore, dal continuo temere nascono i due contrari eccessi; o un soverchio amore, o una soverchia indifferenza per quella cosa che sta in pericolo; nella tirannide, temendo sempre noi tutti per le cose nostre e per noi, ma amando (perché cosí vuol natura) prima d’ogni altra cosa noi stessi, ne veniamo a poco a poco a temere sommamente per noi, e ogni dí meno per quelle cose nostre che non fanno parte immediata di noi. Nelle repubbliche vere, amavano i cittadini prima la patria, poi la famiglia, quindi se stessi; nelle tirannidi all’incontro, sempre si ama la propria esistenza sopra ogni cosa. Perciò l’amor di se stesso nella tirannide non è giá l’amore dei propri diritti, né della propria gloria, né del proprio onore, ma è semplicemente l’amor della vita animale. E questa vita, per una non so qual fatalitá, nello stesso modo che la vediamo tenersi tanto piú cara dai vecchi, i quali oramai l’han perduta, che non dai giovani a cui tutta rimane; cosí tanto piú riesce cara a chi serve, quanto ella è men sicura e val meno.