<dc:title> Della storia d’Italia dalle origini fino ai nostri giorni </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Cesare Balbo</dc:creator><dc:date>1846</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Balbo, Cesare – Storia d'Italia dalle origini fino ai nostri giorni, Vol. II, 1914 – BEIC 1741401.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Della_storia_d%27Italia_dalle_origini_fino_ai_nostri_giorni/Libro_quarto/21._Legislazioni&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20230407233639</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Della_storia_d%27Italia_dalle_origini_fino_ai_nostri_giorni/Libro_quarto/21._Legislazioni&oldid=-20230407233639
Della storia d’Italia dalle origini fino ai nostri giorni - 21. Legislazioni Cesare Balbo1846Balbo, Cesare – Storia d'Italia dalle origini fino ai nostri giorni, Vol. II, 1914 – BEIC 1741401.djvu
[p. 128modifica]21. Legislazioni. — Questa etá è poi molto piú notevole per un genere
di libri o compilazioni, le quali sono sí elle pure parte della
coltura, ma piú che coltura poi all’effetto, dico i codici di leggi.
Strano fatto, che le leggi le quali servirono a tutta Europa nelle etá
piú civili e piú colte fino a’ nostri dí, e che anche oggi servono in
gran parte all’Inghilterra, cioè alla nazione piú avanzata in civiltá
e coltura, e che diedero origine a’ codici nuovi nelle altre, sieno
state compilate tutte lungo l’etá dei barbari, in Oriente od
Occidente. Ma il vero è che non sono di tale etá se non le
compilazioni; e che le leggi stesse, e i responsi de’ giureconsulti
che le accompagnano, sono frutti di lunghe etá precedenti, sono
risultato complessivo ed ultimo delle due grandi civiltá europee fino
allora disgiunte, e allora riunite, la romana e la germanica, la
imperiale e quella delle genti. E quindi appunto fu naturale, che
allora, nel riaccostarsi le due civiltá, volesse ciascuna serbare i
propri risultati; naturale che li compilassero; e naturale poi, che
tali compilazioni ritardassero le fusioni fino alla etá nostra piú
unificante. — Le leggi, la giurisprudenza romana, furono raccolte,
primamente (e prima dell’etá de’ barbari, ma invadenti giá essi), da
Teodosio II in un Codice che porta il nome di lui [438]; poi da
Giustiniano in un nuovo e piú ampio Codice [529], in una
compilazione di leggi e decisioni antiche detta Digesto o Pandette
[533]; in un’aggiunta al Codice detta Novelle [534], e in un
ristretto detto Istituzioni. E tutta questa legislazione
giustinianea fu, senza che non ne resti dubbio oramai, recata in
Italia; ovvero giá da Belisario e dalla prima conquista (essendo presumibile
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che il legislatore autore imponesse quanto prima l’opera
sua in tutto l’imperio suo), ovvero nel 554, insieme colla prammatica
che dicemmo; ovvero anche piú tardi nelle province rimaste greche. Ma,
voluminoso tutto questo Corpus iuris, non s’adattava alla poca
coltura delle etá seguenti, né al poco e impedito uso che ne aveano a
fare i miseri italiani soggetti e poco men che schiavi di barbari
germanici od imbarbariti greci; ondeché essi usarono vari ristretti
fattine via via, e principalmente quello d’Alarico re de’ goti di
Spagna. — De’ codici barbarici poi, lasciando quelli fatti fuor
d’Italia, e venendo a’ nostri goti, ci basterá accennare, che
Teoderico e gli altri re loro fecero senza dubbio non poche leggi; ma
non restano testi, se non di due editti di Teoderico e d’Atalarico,
oltre poi molti cenni nelle lettere di Cassiodoro. E, cacciati i goti,
non ne restò probabilmente traccia nelle giurisprudenze posteriori. I
longobardi sí, compilarono, come accennammo, contemporaneamente con
gli altri barbari lor leggi od usanze (dette con parola loro antica
«anclab» od «anclap», che forse significava «connessione»,
«collegazione», e sarebbe cosí sinonimo di «lex»); e la prima
compilazione fu di Rotari intorno all’anno 643, e seguirono le
aggiunte di Grimoaldo, di Liutprando, di Rachi e d’Astolfo. — E lodinsi
pure tutti questi principi codificatori: le pubblicazioni di codici
sono sempre benefizi a’ popoli che han bisogno di conoscere quanto piú
facilmente le leggi buone o cattive onde son retti. Ma non diasi ad
essi, nemmeno a Giustiniano, quella lode di legislatori veri, che
Machiavello pone sopra tutte le umane. Perciocché i legislatori veri
sono, non quelli che compilano leggi vecchie o ne aggiungon poche
nuove conformi, ma quelli (come Mosé, Licurgo, Solone ed anche, bene o
male, Augusto, Diocleziano, Costantino e pochissimi altri) i quali
inventano, e con leggi in parte antiche e in parte nuove, ordinano,
rinnovano uno Stato comunque invecchiato, conformemente alle
condizioni delle civiltá e de’ tempi nuovi. E siffatta somma lode fu
meritata (non corsi due anni dacché io cosí ne parlava primamente) da
quattro principi italiani; ma non rimane che ad uno, Carlo Alberto. E
cosí Dio ispiri i tre altri a [p. 130modifica]
riacquistarsela, ad onore, od anzi forse
a salvezza propria e di lor successori e lor popoli. — Del resto,
sapientissima, elegantissima ne’ particolari la legislazione romana,
ma tutta imperiale, tutta assoluta nel principe, tutta ciecamente
obbediente e quasi adorante ne’ sudditi, pagana pe’ tre quarti,
cristiana qua e lá per aggiunta, ella contribuí certo molto ed a
quelle stolte pretensioni di monarchia universale, ed a quelle di
dispotismo civile ed ecclesiastico degli imperatori, onde sorsero poi
tanti danni in tutti i secoli che siam per vedere; mentre le
legislazioni barbariche contribuirono a quella dispersione della
potenza regia in potenze via via minori e poco men che assolute, onde
vedremo sorgere l’ordine feudale, uno de’ peggiori disordini sociali
che sieno stati mai. Miseri secoli in tutto, quelli che straziati
continuamente tra i due assolutismi del concentramento e della
dispersione, non trovavan riposo dalle violenze della guerra, se non
nei disordini della pace; quelli, in cui questi disordini eran fonte
perenne di quelle violenze, e quelle violenze, di disordini nuovi.
Quando impareremo noi a tener conto de’ tempi presenti, ad esserne
grati alla divina Providenza, a non farne stolti, od anche empi
piagnistei?