Della ragione di stato (Settala)/Libro VI/Cap. XI.

Cap. XI.

../Cap. X. ../../Libro VII IncludiIntestazione 25 maggio 2021 75% Da definire

Libro VI - Cap. X. Libro VII
[p. 129 modifica]

Capitolo XI

Della ragion di stato de’ pochi potenti,
t che riguarda il dominio e i dominanti.

Per cominciare dai rimedi universali, Aristotele nel quinto della Politica, mentre va raccontando le cause delle mutazioni di questa republica, dal contrario ci propone una massima appartenente alla preservazione di quella: la quale è, che nell’oligarchia, benché sia fra le ree, non vi è cosa che sia piú [p. 130 modifica] atta a conservarla, che l’unione d’animo e l’amore e benevolenza fra i rettori, e la volontá unita in mettere ogni studio per conservare tal forma di republica; e lo provò con l’esempio della republica di Farsalia, che durava ancora a’ suoi tempi, se bene era de pochi potenti, per la grande loro unione e concordia. E noi possiamo molto meglio dimostrarlo con l’esempio della republica di Venezia, dove, oltre la gran prudenza di quei signori e la sapienza di que’ buoni vecchi, la concordia e unione d’animi ha per tante centinaia d’anni conservata, in tanti tumulti d’Italia e in tante inondazioni de’ barbari e in cosí pericolose guerre fattegli dal turco, la loro libertá ed eccellente republica.

Ancora che il nervo del dominio indiviso tra’ rettori debba restare, giudico però bene, e cosa molto atta a tranquillare gli animi de’ popoli e a conciliarseli, de’ decreti e d’ogni legge dal magistrato acciò destinato consultata, e stabilita nel consiglio grande de’ dominanti, darne parte ancora a! popolo con le cause di tal determinazione. Non per fargli partecipi dell’autoritá di far legge: perché questo è proprio dello stato popolare; ma per mostrare di tenere conto del popolo, facendoli avanti la promulgazione capaci del loro animo e della causa che gli ha mossi a far tal legge: perché con questa maniera il popolo quasi ingannato, come fatto partecipe del conseglio e della republica, non tenterá cosí facilmente cose nuove; essendoché coloro, che in tutto sono esclusi dalla republica, non potranno mai essere d’altro animo verso i dominanti, se non di nimico: e perciò se non si vogliono far partecipi della maestá dell’imperio, almeno se le dovrá dare una certa ombra di partecipazione di quello.

Perciò vi aggiunge qualche cosa di piú Aristotele, di far contento il popolo senza scemare per un poco l’autoritá de’ dominanti e la maestá dell’imperio, che si deve dagli oligarchi concedere, che il popolo elegga qualche numero di quel corpo, che insieme con loro assistano alle consultazioni, dicendo ancor essi il lor parere; ma che siano inferiori di numero, e che nelle deliberazioni e finali costituzioni e leggi né concorrano con [p. 131 modifica] voce né stiano presenti. Perché cosí quasi partecipi del consiglio restano contenti, ma ingannati, perché nello stabilimento non restano partecipi di quel che piú importa.

Anzi per fargli piú contenti, e sussequentemente piú obedienti, dice che si potrebbe ancora concedere l’autoritá di assolvere; purché tutta la potestá di condannare restasse negli oligarchi, essendo molto piú di importanza l’autoritá di condannare: se bene per il piú è usato il contrario nelle cittá, essendo consueto che il prencipe o i pochi assolvino, e che si riferisca alla moltitudine, quando ha da seguire condannazione; e nelle republiche e nelle democrazie, come a Roma, non si poteva condannare un cittadino in vigore delle leggi delle dodici tavole, se non nei comizi centuriati pienissimi e massimi. Il quale istituto di concedere a’ pochi piuttosto l’assolvere che il condannare, penso che la causa sia tolta dall’umanitá; per la quale per natura siamo piú inclinati ad assolvere che a condannare. Ma nell’oligarchia Aristotele persuade il contrario esser piú utile; perché in tale republica sempre è piú utile che la maggiore autoritá e potestá resti presso il minor numero, cioè la condannazione a’ pochi, e l’assoluzione pervenga a’ molti. Con tutti questi modi si gratifica la plebe, e si assicura il dominio de’ pochi potenti.

Ma di piú da tutti i collegati dominanti si considereranno gli andamenti di ciascuno di loro: se vi sia alcuno, che pian piano si vadi avanzando in padronanza, come in procurare troppo spesso i magistrati, o quelli di maggiore autoritá; e se ne’ voti pretenda la sua voce preponderare; se facci, come da noi si dice, broglio, per prevalere nell’ottener magistrati, o con i colleghi, se da loro si fa l’elezione, o con il popolo, se a lui è riservata tal cosa. Perché, in caso, bisogna contraoperare, e con bel modo mortificarlo; e se giá si fosse avanzato o impossessato, bisognerá tagliargli le ugne.

Siccome nella prima e seconda specie d’oligarchia non si deve esser troppo rigoroso in ammettere al governo quelli, che sono arrivati all’estimo destinato per le leggi, né trovar scuse per escludergli; acciò troppo non cresca il numero, che suole [p. 132 modifica] esser dannoso in tal forma di republica, acciò non si dia occasioni di sollevazioni al popolo: cosí nell’ultima, che pure è tirannica, e che s’appoggia alle forze, è lecito alzare l’estimo, e in quello esser rigoroso, per non isminuire la loro potenza e autoritá.

Si averá ben l’occhio da’rettori alla maniera di vivere di ciascun di loro, se vi siano alcuni troppo dati a’ piaceri, al lusso, allo spendere: acciò, fatti molti debiti, per potersene poi sottrarre non tentino cose nuove. Nel qual caso bisognerá da principio provedervi, o castigandolo come mal vivente, o impedendogli questa maniera di vivere: ché ancora la plebe meglio sopporterá i castighi, vedendo questi essere ancor commun a’ dominanti.

Se bene è ragionevole che a’ piú prudenti e savi e piú vecchi siano ancora concessi i magistrati di maggiore importanza: non si doverá però permettere un certo circolo in certo numero, che appaiano due reggimenti, ma procurare ancora, che alcuno de’ mezzani, per la prudenza tra loro conosciuto atto, possa a quelli sottentrare; dando a’ piú giovani animo, che in breve anch’essi ne saranno partecipi.

In tempo di guerra poi, avendosi in questa republica da servirsi di milizia forastiera, non si metterá mai tutta l’autoritá in mano di uno: ma se sará eletto forastero, se le dará luogotenente uno de’ rettori, e un paro de’ consiglieri, per aggiutarlo sí, ma pure come contrascrittori; il che pure si deve fare, se per generale si eleggerá uno de’ dominanti. Cosí ancora nelle controversie che occorrono facendosi elezione di un arbitro, se le daranno i consiglieri, acciò con la grande autoritá concessagli non tirasse a sé il dominio, facendosi tiranno. E perciò i romani alla dittatura, che era quasi un dominio assoluto, benché non potesse piú durare di sei mesi, aggiunsero il maestro de’ cavalieri, che nel bene operare l’obbedisse e servisse; ma però, in caso che il dittatore volesse usurpare il dominio o prolungarsi il tempo, vi fosse chi lo impedisse.

Se bene parerá strano il dire, che si debba provvedere a quelli uomini da bene, li quali pure sono fra’ rettori, a’ quali [p. 133 modifica] come tirannica spiaccia la forma oligarchica, e in particolare se è dell’ultima specie: chi considera però, che qui si tratta della ragion di stato di forma di republica rea, che è il modo di conservarla, giudicherá ancora questi tali esser uomini per se stesso buoni, ma non giá buoni oligarchi; e perciò doversi cacciare da tal governo, anzi mandarsi in esiglio: e questa sarebbe una specie di ostracismo.

Finalmente nei casi di crescimento degli estimi fatto in pochi anni, per il quale quasi all’improviso vi sarebbe ancora accrescimento grande del numero de’ dominanti o rettori della republica, cosa che immediatamente distrugge la natura di tal dominio, supponendo esser pochi potenti: giudica Aristotele in tal caso essere ispediente alzare alla proporzione il censo, che cosí le prime specie di tal republica si conserveranno nel suo stato e numero. Ma se dell’ultima tratteremo, di alto censo e però di poco numero, non mutando la quantitá del censo, sentirá bene mutazione da una specie di oligarchia in un’altra, ma da una pessima in una di miglior condizione, non essendo ristretta a cosí poco numero, né a tanta altezza d’estimo o di censo; essendo sminuito di grandezza il primo istituto per l’accrescimento delle ricchezze introdotte. E se ciò non piacerá useranno il rimedio giá detto di alzare l’estimo del censo; che cosí ancora s’impedirá l’entrare al governo della republica a molti altri.