Della moneta/Libro II/Capo I

../Introduzione

../Capo II IncludiIntestazione 15 maggio 2018 75% Da definire

Libro II - Introduzione Libro II - Capo II
[p. 79 modifica]

CAPO PRIMO

dimostrazione della natura della moneta
e della sua utilità

Necessitá d’un commercio tra gli uomini e sua definizione — Idea d’una repubblica che vive in vita comune, che è di tutti i commerci il piú perfetto — Riparo di vari inconvenienti — Il nostro stato presente è di vita comune, e gl’inconvenienti sono riparati tutti dalla moneta — Che cosa siensi i tributi — Conclusione.

La necessitá del commercio al sostentamento della vita ed all’acquisto della terrena felicitá è cosa troppo conosciuta; essendo il commercio figliuolo del bisogno scambievole che ha ciascuno, e potendosi definire: una comunicazione, che gli uomini fanno tra loro delle proprie fatiche per riparare alle comuni necessitá. Tutto quel, che giova al commercio, è perciò utilissimo anch’egli. Or niente è piú evidente, quanto l’incommodo dell’antico e primo costume di commerciare con baratto di cose a cose. Perché è troppo malaggevole sapere a chi la cosa a me soverchia manchi, o chi possegga la mancante a me; né tutte le cose si possono trasportare, né per lungo tempo serbare, né pareggiare o dividere secondo forse richiede il presente o il comune bisogno. A voler dunque riparar questo incommodo, io pensai se si potesse vivere in comune; poiché, essendo per esperienza noto che le piccole societá, quali sono molti ordini religiosi, felicemente e meglio degli altri vivono in comunanza, mi pareva che anche i corpi grandi e le cittá e i regni potessero in comune vivere beatamente. Ed io trovai che non si può in questi, che non sono ripieni di gente scelta e virtuosa, [p. 80 modifica] ordinare che ciascuno lavori e si affatichi e riponga la sua opera in magazzini aperti e comuni, ne’ quali possa trovar riposto da altri artefici tutto quello che a lui bisogna e prenderselo a suo piacere; mentre il poltrone allora, defraudando il pubblico della sua opera, vivrebbe ingiustamente delle altrui fatiche. Inoltre non vi sarebbe modo d’arricchire né d’impoverire: onde l’industrioso, non movendolo lo sprone del guadagno, meno faticherebbe; il pigro, sperando negli altrui sudori, o poco o nulla affatto; e finalmente anche i virtuosi vorrebbero vivere con maggior lautezza che non si conviene alla condizione della loro arte. Perché noi vediamo che, per la diversa eccellenza dell’esercizio, diversamente guadagna il mercatante e il contadino, e perciò l’uno lautamente, l’altro parcamente vive. Ma in quest’ordine di vita comune tutti vorriano viver bene del pari, e perciò quest’ordine non si può mantenere. Per emendar questo adunque, io pensai che si potea far cosí.

Potrebbe tenersi conto di quanto ciascuno fatica, e poi, secondo quel ch’egli coll’industrie sue giova alla societá, dovrebbe delle altrui partecipare, e non piú. Quindi si dovrebbe costituire che ognuno, che porti i suoi lavori al magazzino, ne ricevesse un bullettino concepito in questi termini: «Che il tale ha rimessa ne’ magazzini pubblici tanta quantitá di tale roba, diciamo per esempio cento paia di scarpe, per lo valore delle quali resta creditore sulla societá». Si dovria indi stabilire che niuno potesse toccar nulla da’ magazzini senza presentare qualche bullettino di suoi crediti, e niente prender piú di quel che importi il valore e la quantitá di questo suo credito; pareggiato il quale con aver presa roba equivalente, dovria lasciare o lacerare il bullettino. Inoltre, conoscendo quanto incommodo saria se nel bullettino si esprimesse solamente il dritto, che uno ha acquistato di provvedersi di un solo genere di cose, dicendo per esempio che colui, che ha immesse le cento paia di scarpe, meriti perciò di esiggere mille libbre di pane, e non altro, sicché questo bullettino al solo magazzino del pane fosse accettato; vidi che bisognava che sulle porte di tutti i magazzini si ricevessero liberamente i biglietti, sicché ognuno si potesse di quanto mai [p. 81 modifica] gli può bisognare provvedere. Per ciò fare, era necessario che il principe costituisse una valuta a tutte le cose, o sia su d’una comune misura regolasse la valuta d’ogni cosa, dichiarando per esempio che lo staio del grano corrisponde a tanto vino, tanta carne, olio, vesti, cacio, ecc; secondo la quale misura e tariffa si saprebbe poi quanto si appartiene ad ognuno di ricevere per quel che egli ha fatto, e quando è che il suo credito è pareggiato. Infine s’avria da dare al principe un certo numero di bullettini, i quali da lui si potessero distribuire alle persone che servono all’intiero corpo, acciocché questi, secondo quella lautezza che è proporzionata all’importanza e merito del loro impiego, vivessero. E, perché, come ognuno vede, è necessario, in questo sistema, che i magazzini non abbiano maggior debito in bullettini di quella quantitá di roba che eglino hanno veramente, io trovai esser necessario che si obbligassero tutti i cittadini a portar gratis, cioè senza riceverne riscontro di bollettino, tanta quantitá di merci ne’ fondachi, quanta è la somma di tutto quel che si dá al principe per distribuirlo ai ministri della societá. Credo che sia evidente la veritá di quanto ho detto, e a quanto disordine si verrebbe cosí a riparare.

Or, su questo meditando piú, io compresí che il principale anzi l’unico inconveniente, che in questo governo potea intromettersi, erano le frodi su’ bullettini. La quantitá de’ diversi caratteri de’ custodi de’ fondachi non faria ben distinguere tutti i veri da’ falsi; e, quel che è piú, mancando la fede e la virtú, poteano i custodi, per giovare agli amici ed ai congiunti, talora fargli creditori sul pubblico d’un prezzo maggiore delle mercanzie da loro intromesse; dichiarando per esempio taluno, che ha immesse solo dieci scarpe, creditore di mille libbre di pane, quasi egli non dieci ma cento ne avesse arrecate. Che sarebbe lo stesso che fare apparire i fondachi piú del vero doviziosi; e cosí, divenendo poi debitori di maggior quantitá di robe, che non hanno in loro, presto sarebbero, non senza ingiustizia, vuotati con questa frode. Or, per assicurarsi da ciò, perché in molte maniere vi si potesse riparare, mi parve che la migliore sarebbe se il solo principe segnasse una determinata quantitá di [p. 82 modifica] bullettini, tutti d’uno stesso prezzo, come a dire col prezzo d’una libbra di pane, e di questi, che in carta o in cuoio potrebbero segnarsi, se ne distribuissero le convenienti somme ai custodi delle robe, i quali a chi immette gli dessero, ripigliandogli da chi estrae. Allora non piú si esprimerebbe su d’un solo bullettino tutto il prezzo; ma colui, che porta roba di piú valuta d’una libbra di pane, prenderebbe tanti bullettini, quanti eguagliassero il valore di quella. Cosí si dá rimedio alla confusione de’ vari caratteri, alla falsificazione, alla formazione continua di nuove carte; i custodi potrebbero dare esattamente i loro conti; ed infine, se fosse certo che i bullettini non fossero ricusati da alcuno per timor di frode, pare che con questi ordini una societá si potrebbe reggere e conservare. Così veramente pareva a me, quando fui, meditando, a questo termine pervenuto. Ma, frattanto che io mi rivolgea, ricercando se nuova difficoltá restasse a superare, o per contrario se gli storici o i viaggiatori narrassero di qualche nazione, la quale con l’esempio desse conferma alle mie idee; ecco che, quasi cadendomi un velo dagli occhi, m’accorsí che inavvedutamente io era al mondo presente giunto e sul suolo patrio camminava, donde credea essere tanto lontano. E cosí spero che a’ miei lettori interverrá.

Vidi, ed ognuno può ora vederlo, che il commercio e la moneta, prima motrice di esso, dal misero stato di natura, in cui ognuno pensa a sé, ci hanno condotti al felicissimo della vita comune, in cui ognuno pensa per tutti e fatica; ed in questo stato, non per principio della sola virtú e pietá (che, ove si tratti d’intere nazioni, sono legami che soli non bastano), ma per fine di privato interesse e di comoditá di ciascuno ci manteniamo. Vidi essere le monete i bullettini, le quali insomma sono una rappresentanza di credito, che uno ha sulla societá per cagione di fatiche per essa sostenute o da lui o da altri, che a lui le ha donate. Non vi sono, è vero, fra noi que’ magazzini comuni, ma ad essi corrispondono le private botteghe; e, con assai miglior consiglio, i bullettini, cioè le monete, non si dánno e prendono da’ generali custodi, ma ognuno delle sue fatiche ha cura, e per empir la sua bottega dá la moneta [p. 83 modifica] con cui negozia, e ripigliasela vendendo. Così non v’è bisogno della virtú o fede de’ fondachieri, né della vigilanza del principe, perché non si dissipino i bullettini; ma ognuno si astiene dal dargli, disponendo solo del suo, e, donando la moneta, dona i suoi sudori. E cosí quell’inconveniente, che non è abbastanza frenato dalla virtú nel primo stato supposto, lo è in questo presente perfettamente emendato dall’interesse proprio, la forza del quale è sempre negli animi umani, anche viziosi, inespugnabile. E certamente, siccome le societá ristrette e scelte, in cui gli uomini non nascono, ma si ricevono adulti, sono felicissime, se si fondano sulla sola virtú; cosí le nazioni e i regni avranno governo ruinoso e vacillante, se la virtú, che lo sostiene, non sará congiunta coll’interesse mondano, non potendosi i vasti corpi da’ cattivi germi, che vi nascono, purgar pienamente.

Io mi accorsi ancora che que’ bullettini dati al principe, per cui conveniva che tutti lasciassero qualche porzione di fatiche gratis, erano i dazi e i tributi: non essendo questi altro che una parte delle fatiche di tutti messa in comune e ridotta in moneta, la quale il principe distribuisce; e questi sono i salari e le spese ch’egli fa. Infine ogn’incommodo, che i bullettini, di qualunque materia si facessero, aveano, gli ha emendati la moneta di metallo. In lei la qualitá, il conio e la struttura assicurano dalla frode de’ privati, e la intrinseca valuta ci assicura dall’abuso, che mai ne potesse fare il principe; essendoché, se la materia non contenesse tutto il valore che ha la moneta, come se di cuoio o di carta si facesse uso, il principe potria stampare un numero eccessivo di bullettini; e questo solo dubbio ch’egli potesse farlo basta a toglierne o diminuirne la fede e troncarne il corso. Ma la materia della moneta altri che Dio non può moltiplicarla, ed a volerla scavare o far venire d’altronde vi corre tanta spesa, quanto ella poi vale, e cosí non v’è guadagno ad accrescerla; e questa è la grandissima importanza che la moneta sia fatta d’un genere, che tutto il valore lo abbia naturale ed intrinseco, e non ideale.

Frattanto, senza ch’io piú mi allunghi, sviluppino i miei lettori queste considerazioni, e vi troveranno entro una bellissima [p. 84 modifica] cognizione della costituzione delle societá, de’ contratti e della moneta; e, rovesciando in sintetico questo metodo analitico, si avrá la migliore dimostrazione de’ vantaggi della moneta: la quale, essendo stata da molti autori esaltata e da infinitamente piú ingiuriata con atroci villanie, da niuno ho veduto che fosse in maniera comprensibile dimostrata, qual ella è, utile ed eccellente. Riserbo ora al seguente capo a parlare della comune misura delle cose, l’utilitá della quale in questo capo si è dimostrata: ma resta a far conoscere quali difetti abbia con sé l’esser ella situata nella moneta.