Della imitazione di Cristo (Cesari)/Libro III/CAPO XXXVIII

XXXVIII. Del reggersi bene nelle cose esterne, e del ricorrere a Dio ne’ pericoli.

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Tommaso da Kempis - Della imitazione di Cristo (XIV secolo)
Traduzione dal latino di Antonio Cesari (1815)
XXXVIII. Del reggersi bene nelle cose esterne, e del ricorrere a Dio ne’ pericoli.
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CAPO XXXVIII.


Del reggersi bene nelle cose esterne, e del ricorrere

a Dio ne’ pericoli.


1. Figliuolo, a questo tu dei intendere studiosamente; che in ogni luogo, e atto, od occupazione esteriore tu sii dell’animo libero, con signoria di te stesso; e che tutte le cose stieno sotto di te, e non mai tu sotto di loro; che tu sii padrone delle tue operazioni, e lor reggitore, e non servo, nè schiavo; ma libero anzi e naturale Ebreo, entrando alla eredità, ed alla libertà de’ figliuoli di Dio; i quali soprastannosi alle cose presenti, e le eterne contemplano; che le passeggere riguardano con l’occhio manco, e col destro quelle del cielo; i quali già non si lasciano trarre al godimento de’ temporali beni; anzi eglino più tosto gli tirano a servir loro secondo ragione, siccome furono ordinati e posti dal sommo fattore, il quale niente ha lasciato di sconcio nelle sue creature. [p. 210 modifica]

2. E se anche in ogni caso tu non istai alla vista di fuori, nè con occhio carnale disamini le cose vedute, o le udite; ma in qualunque bisogno entri subito con Mosè nel tabernacolo a consigliarti con Dio; tu ne riceverai alcuna volta la divina risposta, e ne partirai ammaestrato di molte cose presenti, e delle avvenire. Conciossiachè sempre ebbe ricorso Mosè al tabernacolo per lo scioglimento de’ dubbi, e delle contese, e corse al rifugio dell’orazione per salvarsi da’ pericoli e dalle soperchierie della gente. Così tu pure ti dei rifuggire nel secreto del tuo cuore, e quivi più studiosamente pregar Dio di soccorso. Imperciocchè perciò appunto Giosuè, e i figliuoli d’Israello si leggono essere stati da Gabaoniti ingannati, perchè non ne domandarono prima l’oracolo del Signore; ma dando troppa fede alle melate loro parole, per una falsa pietà rimaser delusi.