Della imitazione di Cristo (Cesari)/Libro III/CAPO XXXIII
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Traduzione dal latino di Antonio Cesari (1815)
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CAPO XXXIII.
Dell’incostanza del cuore, e della finale intenzione
da avere a Dio.
1. Figliuolo, non voler fidarti del tuo affetto: quello che adesso hai, di qui a poco si cambierà in altro. Infinattantochè vivi, tu sei soggetto alla mutabilità, tuo malgrado: in guisa che ora ti senta lieto, ora tristo; ora divoto, ora indivoto; adesso diligente, adesso accidioso; talora grave, talora leggieri. Ma al disopra di queste mutabili cose si regge l’uom saggio, e bene nello spirito ammaestrato, niente badando quello ch’egli senta dentro di sè, o di qual parte soffi il vento della mutabilità; ma sì a questo, che tutta l’intenzione della sua mente al diritto e bramato fine stia volta. Imperciocchè per tal modo potrà tenersi immobile in un medesimo stato, col semplice sguardo di sua intenzione in me fisamente fermato al variar di tanti e sì diversi accidenti.
2. Or quanto più puro sarà l’occhio dell’intenzione, e tanto si va più sicuro tralle varie procelle. Ma in molti l’occhio della pura intenzione è annebbiato: conciossiachè assai leggermente l’uom guarda a qualche dilettevole oggetto, che gli dà innanzi: poichè di rado si trova chi sia affatto libero d’ogni macchia di amore privato. Così una volta i Giudei erano venuti a Bettania alla casa di Maria e di Marta, non per Gesù solamente, ma e per veder quivi Lazaro. Si vuol dunque in guisa nettar l’occhio dell’intenzione, ch’egli sia semplice, e retto, e a me di là da tutti i diversi mezzi dirigerlo.