Della imitazione di Cristo (Cesari)/Libro III/CAPO XXVI

XXVI. Dell’altezza d’una mente libera, che meglio s’impetra per l’umile orazione, che per la lezione.

../CAPO XXV ../CAPO XXVII IncludiIntestazione 21 ottobre 2016 75% Da definire

Tommaso da Kempis - Della imitazione di Cristo (XIV secolo)
Traduzione dal latino di Antonio Cesari (1815)
XXVI. Dell’altezza d’una mente libera, che meglio s’impetra per l’umile orazione, che per la lezione.
Libro III - CAPO XXV Libro III - CAPO XXVII
[p. 181 modifica]

CAPO XXVI.


Dell’altezza d’una mente libera, che meglio s’impetra

per l’umile orazione, che per la lezione.


1. Signore, questa è cosa da uomo perfetto; non mai allentar l’animo dalla contemplazione delle cose del cielo, e così passar per molte sollecitudini, come se niuna ne avessi; e non a foggia d’uomo istupidito, ma per cotal eccellenza di mente libera, che a nessuna creatura si lega con amore disordinato. [p. 182 modifica]

2. Io ti scongiuro, piissimo Iddio mio, guardami dalle cure di questa vita, chè troppo non ne sia inviluppato; dalle tante indigenze del corpo, sicchè io non sia preso al piacere; da tutto ciò che può dare impedimento allo spirito, acciocchè vinto da tante noje non m’abbandoni. Non dico già che tu mi guardi da quelle cose, le quali sfrenatamente ambisce la vanità de’ mondani; ma sì da quelle miserie, che per la comune maladizione della mortalità, gravano penalmente l’anima del tuo servo, e la ritardano, ch’ella non possa a suo grado entrare nella libertà del suo spirito.

3. O Dio mio, dolcezza ineffabile, volgimi in amarezza ogni consolazione di carne, la quale mi travolge dallo amore de’ beni eterni; e con l’esca di qualche temporal bene a sè reamente m’alletta. Deh! non mi vinca il sangue, e la carne; non m’inganni il mondo, e la fuggevol sua gloria; nè il diavolo, e la sua malizia non mi soppianti. Dammi fortezza da poter resistere, pazienza da tollerare, fermezza da perseverare. Dammi in cambio di tutte le mondane [p. 183 modifica]consolazioni la soavissima unzione dello tuo spirito, e in luogo dell’amore carnale m’infondi il tuo.

4. Ecco il cibo, la bevanda, il vestito, e gli altri bisogni che riguardano il mantenimento del corpo, allo spirito fervente sono di peso. Tu mi concedi ch’io di sì fatti agi temperatamente usi, e non per affetto soverchio ne sia invescato. Rigettar tutto, non si conviene; perocchè la natura vuol essere sostentata: procacciar poi le cose superflue, e le più dilettevoli, il vieta la tua santa legge; che altramenti la carne si risentirebbe oltraggiosamente contro lo spirito. Tra questi estremi la tua mano, io ti prego, mi regga, e mi guidi, acciocchè io non cada nel troppo.