Della imitazione di Cristo (Cesari)/Libro III/CAPO XVII

XVII. Che ogni sollecitudine si dee mettere in Dio.

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Tommaso da Kempis - Della imitazione di Cristo (XIV secolo)
Traduzione dal latino di Antonio Cesari (1815)
XVII. Che ogni sollecitudine si dee mettere in Dio.
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CAPO XVII.


Che ogni sollecitudine si dee mettere in Dio.


1. Figliuolo, lasciami fare di te ciò, ch’io voglio: io so quello, che fa per te. Tu pensi secondo uomo; giudichi in molte cose secondo che l’umano affetto te ne fa credere.

2. ÈFonte/commento: 1815b vero, o Signore, quello che dici. Maggior cura tu ti prendi di me, che non è tutta quella che io potessi avere di me, perlochèFonte/commento: 1815b troppo vive a risico chi ogni propria [p. 157 modifica]sollecitudine non getta in te. Signore, purchè la mia volontà si tenga ferma e diritta a te, fa pur di me tuo picere. conciossiachè non può esser altro che bene quello che tu ti faccia di me. Se mi vuoi nelle tenebre, sii tu benedetto: e se mi vuoi nella luce, sii pur benedetto. Sii benedetto, se degni di consolarmi; e sii altresì sempre benedetto, se mi vuoi tribolato.

3. Così, o figliuolo, ti fa bisogno di stare, se ami di tener dietro a me. Così tu dei esser presto a patire, come a godere, ed essere così volentieri meschino e povero, come ricco e abbondante.

4. Volentieri, o Signore, io patirò per tuo amore tutto ciò, che ti piaccia venirmi addosso. Indifferentemente io voglio dalla tua mano il bene, ed il male, il dolce, e l’amaro, il lieto, ed il tristo ricevere; e d’ogni cosa che m’intravvenga renderti grazie. Guardami da ogni peccato, ed io nè la morte temerò, nè l’inferno. Sol che tu non mi rigetti in eterno, nè mi cancelli dal libro della vita, non mi nuocerà mai tribolazione che venga sopra di me.