Della imitazione di Cristo (Cesari)/Libro III/CAPO LVII
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Traduzione dal latino di Antonio Cesari (1815)
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CAPO LVII.
Che l’uomo non si avvilisca soverchiamente,
quando sdrucciola in qualche difetto.
1. Figliuolo, la pazienza, e la umiltà ne’ casi avversi, mi vanno più a grado della allegrezza e divozione nelle prosperità. E perchè un nonnulla, che altri t’ha detto contro, sì ti contrista? s’egli fosse stato anche peggio, tu non avresti perciò dovuto turbartene. Ma ora lasciati dire: non è questa la prima cosa nè nuova; e nè pure, se tu segua a vivere, sarà l’ultima. Tu fai da prode a bastanza quando nessun sinistro t’incontra. Tu sai anche dare ottimi consigli, e altrui con parole aggiunger vigore: ma quando viene alla tua porta alcuna non aspettata tribolazione ti vien meno il consiglio, e il valore. Or bada bene alla tua somma fragilità, la quale soventi volte in lievi incontri tu esperimenti. pur nondimeno qualora queste, o altrettali cose t’avvengono, sappi ch’elle ti sono a salute.
2. Ma gettale, come sai meglio, dal cuore; e se alcuna ti punse,Fonte/commento: 1805b non ti abbatta, nè troppo ti tenga impacciato. Per lo meno la soffri in pazienza, se con allegrezza non puoi. E quantunque tu di mal grado la senta, anzi n’abbia disdegno, fa forza a te stesso; e non permettere che sconcio alcuno esca della tua bocca, onde a’ deboli ne segua scandalo. In breve il movimento insorto si calmerà; e l’interna amarezza sarà indolcita dalla grazia sopravvegnente. Vivo io (dice il Signore), che ancora son presto di darti ajuto, e oltre il costume riconfortarti, se in me ti fidi, e divotamente mi preghi.
3. Fa che tu sii d’animo più riposato, e t’apparecchia di sostener cose più dure. Non è tutto gettato indarno perchè sovente ti senti essere tribolato, e fieramente tentato. Tu sei uomo, non Dio. tu sei carne e non Angelo. E come potresti tu nel medesimo stato di virtù durar sempre, se da tanto non fu l’Angelo in cielo, nè il primo uomo nel paradiso? Io sono che i tristi rilevo a salvezza; e quelli che sanno la lor debolezza, gli innalzo alla comunione della mia propria natura.
4. Signore, sia benedetta la tua parola, dolce alla mia bocca sopra un favo di mele. Che potrei in tante mie tribolazioni ed angustie far io, se tu non mi porgessi conforto co’ tuoi santi ragionamenti? Purch’io pervenga, quando che sia, al porto della salute, che penso io quante e quali cose io m’abbia patite? Dammi buon fine, concedimi felice tra passamento da questa vita. Ti ricorda di me, o mio Dio, e scorgimi per diritto cammino al tuo regno. Così sia.