Della imitazione di Cristo (Cesari)/Libro II/CAPO X

X. Della gratitudine per la grazia di Dio.

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Tommaso da Kempis - Della imitazione di Cristo (XIV secolo)
Traduzione dal latino di Antonio Cesari (1815)
X. Della gratitudine per la grazia di Dio.
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CAPO X.


Della gratitudine per la grazia di Dio.


1. Che vai tu cercando riposo, che sei nato per la fatica? Disponti anzi alla pazienza, che alla consolazione, e al portar la croce, meglio che alla letizia. E qual è delle persone del secolo, che non ricevesse di buon grado la consolazione ed allegrezza spirituale, s’egli sempre aver la potesse? imperciocchè le spirituali consolazioni avanzano tutti i diletti del mondo, ed ogni piacer della carne. Ora tutte le mondane delizie o elle sono vane, o son brutte: laddove quelle dello spirito sono le sole dolci [p. 98 modifica]ed oneste, di virtù generate, nelle menti pure infuse da Dio. Ma di queste divine consolazioni niun può goderne quanto gli piace, perocchè la tentazione non dà lunga tregua.

2. Si oppone tuttavia grandemente alla superna visitazione la falsa libertà d’animo, e la soverchia fidanza di sè. Ben fa Iddio, dandoci grazia di consolazione: ma l’uomo fa male, non riferendo tutto in lui con rendimento di grazie. E impertanto i doni della grazia non possono in noi derivare; perciocchè ne siamo ingrati all’autore, e non ritorniamo ogni cosa alla fontale sorgente. Essendochè a chi, com’è diritto, rende grazie, dovuta è sempre la grazia: e sarà ritolto al superbo quello, che all’umile suol esser donato.

3. Io non voglio consolazione, che mi tolga la compunzione: nè la contemplazione io desidero, s’ella mi levi in superbia. che non ogni cosa alta è pur santa, nè ogni dolce altresì buono, nè ogni desiderio è puro, nè tutto quel che a noi piace, gradito a Dio. Quella grazia riceverò io volentieri, per la quale io diventi sempre più umile, e timoroso, e più [p. 99 modifica]disposto di lasciare me stesso. Chi per lo dono della grazia è addottrinato, e per la prova della sottrazione instruito, non ardirà d’attribuire a sè bene alcuno, anzi più presto confesserassi povero e nudo. Quel ch’è di Dio, dallo a Dio, e a te ascrivi quello ch’è tuo; cioè della grazia rendi grazie al Signore; e a te solo attribuisci la colpa, e per questa credi meritamente dovuto castigo.

4. Mettiti sempre in fondo, e ti sarà conceduta la cima; perciocchè senza fondo non si dà cima. I Santi che grandissimi sono appo Dio, sono appo sè picciolissimi; e quanto hanno più gloria, tanto in se stessi sono più umili. Coloro che di verità, e di celeste gloria son riempiuti, non ambiscono gloria vana. in Dio assodati e stabiliti, a niun patto possono esser levati in superbia. E quelli che tutto reputano a Dio, checchè hanno ricevuto di bene, non procacciano gloria l’uno dall’altro, ma quella pur vogliono, che è da Dio solo; e che Dio sia in loro, e in tutti i Santi lodato desiderano sopra tutte le cose, e pure in questo punto tengon la mira.

5. Sii grato adunque delle minime, [p. 100 modifica]e diventerai degno di ricevere cose maggiori. Ciò che è menomo, abbilo per massimo; e il più tenue per ispezial donativo. Nessun dono ti parrà troppo picciolo, o vile, se alla dignità riguardi del donatore. che non è picciola cosa quella, che è data dal sommo Iddio. Quando pure egli ti desse pene e percosse, ciò ti dovrebbe esser caro; da che tutto quello ch’egli ci lascia avvenire, il fa sempre a nostra salute. Se altri desidera ritener la grazia di Dio, sia riconoscente di quella che gli fu data, e paziente, s’ella gli è tolta: preghi che torni: sia sollecito ed umile, che non la perda.