Della congiura di Catilina/XXXV
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Traduzione dal latino di Vittorio Alfieri (1798)
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«Lucio Catilina a Quinto Catulo salute. L’egregia tua fede, a me nota e gratissima, ne’ miei gravi pericoli speranza grande mi porge e sostegno. Del delitto appostomi scolparmi non volli in Senato; ma, reo pure non sentendomi, presso te il farò e cose dirotti che conoscerai vere, per Dio. Provocato dagli oltraggi e dall’onte; rapitomi il frutto della industria e fatica mia; escluso dai magistrati; impresi, come soglio, a difendere la pubblica causa dei calamitosi: non già perchè non potessi liberarmi io dai debiti contratti in mio nome; poichè, oltre alle mallevadorie, Orestilla con le ricchezze sue e quelle della figlia ampiamente per me rispondeva; ma perchè onorati gl’indegni vedeva, me falsamente sospetto e appartato dagli onori, del cui riacquisto deposta non ho l’onesta speranza. Più scriverei, se in questo punto non mi si minacciassero nuove violenze. Per ora dunque a te raccomando ed affido Orestilla; a difenderla da ogni oltraggio, pe’ figli tuoi scongiurandoti. Sta sano». Catilina, pochi dì trattenutosi presso Cajo Flaminio in Arezzo, per armare i già ribellati vicini, avviasi al campo di Manlio coi fasci e l’altre imperatorie divise.