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della congiura di catilina 23

XXXIV.


Quinto Marcio rispose loro: che quanto dal Senato chiedevano, posate le armi, a Roma supplichevoli andassero per ottenerlo: che i Padri ed il popolo sempre erano stati così pietosi e benigni da non mai essere invano richiesti. Ma Catilina nell’andarsene al campo, a molti consolari, e ad ogni ottimate scriveva: essere egli oppresso dalla calunnia; non poter resistere alla potenza dei nemici; costretto a cedere al suo destino, volersi confinare in Marsiglia, non per mala coscienza, ma perchè dalla di lui resistenza tumulti non nascessero e torbidi nella Repubblica. Molto diversamente scriveva a Quinto Catulo, che lesse in Senato la seguente sua lettera.


XXXV.


«Lucio Catilina a Quinto Catulo salute. L’egregia tua fede, a me nota e gratissima, ne’ miei gravi pericoli speranza grande mi porge e sostegno. Del delitto appostomi scolparmi non volli in Senato; ma, reo pure non sentendomi, presso te il farò e cose dirotti che conoscerai vere, per Dio. Provocato dagli oltraggi e dall’onte; rapitomi il frutto della industria e fatica mia; escluso dai magistrati; impresi, come soglio, a difendere la pubblica causa dei calamitosi: non già perchè non potessi liberarmi io dai debiti contratti in mio nome; poichè, oltre alle mallevadorie, Orestilla con le ricchezze sue e quelle della figlia ampiamente per me rispondeva; ma perchè onorati gl’indegni vedeva, me falsamente sospetto e appartato dagli onori, del cui riacquisto deposta non ho l’onesta speranza. Più scriverei, se in questo punto non mi si minacciassero nuove violenze. Per ora dunque a te raccomando ed affido Orestilla; a difenderla da ogni oltraggio, pe’ figli tuoi scongiurandoti. Sta sano». Catilina, pochi dì trattenutosi presso Cajo Flaminio in Arezzo, per armare i già ribellati vicini, avviasi al campo di Manlio coi fasci e l’altre imperatorie divise.


XXXVI.


Risaputesi in Roma tai cose, il Senato dichiara nemici Catilina e Manlio; agli altri tutti, fuorchè ai rei convinti di capital delitto, prefigge il giorno anzi cui possan l’armi deporre senza