Della congiura di Catilina/XLVI
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Traduzione dal latino di Vittorio Alfieri (1798)
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Cicerone da tal novella ritrasse ad un punto letizia somma e dolore: lieto per la manifestata congiura, e la città da sì grave pericolo scampata; dubbio e pensoso, per non saper che si fare di tanti cittadini colti in così orribil delitto; che, severamente punito, a lui di gran carico riuscirebbe; ed impunito, la Repubblica manderebbe in rovina. Ma, raffermato l’animo, ordina che tosto gli sian fatti venire Lentulo, Cetego, Statilio, e Gabinio, ed un Cepario da Terracina, che in Puglia avviavasi per ribellare gli schiavi. Compariscono tutti senza indugiare, tolto Cepario uscito poc’anzi di casa, perchè, saputa l’accusa, erasi di Roma fuggito. Il Console di propria mano traduce Lentulo in Senato, avendo rispetto alla sua dignità di Pretore; comanda ai custodi che gli altri siano condotti nel tempio della Concordia, dov’egli adunato l’avea. Nel Senato, che numerosissimo era quel dì, Cicerone introduce Volturcio e i Legati. Flacco Pretore, per ordine suo, vi presenta le lettere da esso intercette