Della congiura di Catilina/XLIII
Questo testo è stato riletto e controllato. |
Traduzione dal latino di Vittorio Alfieri (1798)
◄ | XLII | XLIV | ► |
Lentulo e gli altri capi della congiura in Roma rimasti, preparate a parer loro bastanti forze, stabilirono che, al giungere di Catilina nel campo di Fiesole con l’esercito, Lucio Bestia Tribuno della plebe la arringherebbe nel Foro dolendosi di Cicerone, e dando carico di sì funesta guerra a quell’ottimo Console. Quest’arringa era il cenno, onde nella seguente notte ciascuno dei tanti congiurati eseguisse il misfatto addossatosi. E così diceansi distribuiti; che Statilio e Gabinio con forte partito appiccherebbero fuoco in dodici diversi luoghi di Roma, tumulto che agevolerebbe loro l’accesso al Console e ad ogni altro insidiato: che Cetego assalirebbe e sforzerebbe la casa di Cicerone, altri altre: che i figli di famiglia, nobili i più, truciderebbero essi i loro padri: e che fra l’uccisioni, gl’incendj e l’universal terrore si scaglierebbero tutti ad un tratto nell’esercito di Catilina. Fra questi apparecchj e risoluzioni doleasi pur Cetego sempre della tardezza dei compagni, che dubitando e indugiando le migliori occasioni guastavano: in tanto pericolo, dicea, non abbisognare parole, ma fatti; e che egli, se pochi lo secondassero, mentre stavansi i più, assalito avrebbe il Senato. Costui, per natura impetuoso, feroce, e di mano prontissimo, l’esito dell’impresa riponea nell’affrettarla.