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della congiura di catilina 27

XLIII.


Lentulo e gli altri capi della congiura in Roma rimasti, preparate a parer loro bastanti forze, stabilirono che, al giungere di Catilina nel campo di Fiesole con l’esercito, Lucio Bestia Tribuno della plebe la arringherebbe nel Foro dolendosi di Cicerone, e dando carico di sì funesta guerra a quell’ottimo Console. Quest’arringa era il cenno, onde nella seguente notte ciascuno dei tanti congiurati eseguisse il misfatto addossatosi. E così diceansi distribuiti; che Statilio e Gabinio con forte partito appiccherebbero fuoco in dodici diversi luoghi di Roma, tumulto che agevolerebbe loro l’accesso al Console e ad ogni altro insidiato: che Cetego assalirebbe e sforzerebbe la casa di Cicerone, altri altre: che i figli di famiglia, nobili i più, truciderebbero essi i loro padri: e che fra l’uccisioni, gl’incendj e l’universal terrore si scaglierebbero tutti ad un tratto nell’esercito di Catilina. Fra questi apparecchj e risoluzioni doleasi pur Cetego sempre della tardezza dei compagni, che dubitando e indugiando le migliori occasioni guastavano: in tanto pericolo, dicea, non abbisognare parole, ma fatti; e che egli, se pochi lo secondassero, mentre stavansi i più, assalito avrebbe il Senato. Costui, per natura impetuoso, feroce, e di mano prontissimo, l’esito dell’impresa riponea nell’affrettarla.


XLIV.


Ma gli Allobrogi, addottrinati da Cicerone, per mezzo di Gabinio adunandosi coi congiurati, richiedono un giuramento firmato da Lentulo, Cetego, Cassio, e Statilio, ostensibile ai lor cittadini; senza il quale mai potranno a un tanto passo risolverli. Essi, nulla sospettando, lo danno. Cassio inoltre promette trovarsi in breve negli Allobrogi; e alquanto prima dei Legati egli esce di Roma. Lentulo dà agli Allobrogi un Tito Volturcio da Crotona, perchè a Catilina guidandoli, con esso pria di ripatriarsi riconfermino con iscambievol fede l’alleanza. A Volturcio commette una sua propria lettera per Catilina, di cui ecco il tenore: «Qual io sia, da costui ch’io ti mando, il saprai. Riflettendo a quali estremi sii tu, il tuo virile coraggio rammenta: considera ciò che richiede il tuo stato; ed ajuto nessuno, nè dagli infimi pure, a sdegno non abbi.» Alla lettera aggiunge in parole: «Perchè sconsigliato foss’egli pur tanto, da non volere schiavi arruolare, quando il Senato lo avea giudicato nemico? In città essere ogni cosa disposta com’egli avea ordinato: non indugiasse d’avvicinarvisi.»