Della congiura di Catilina/XIV
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Traduzione dal latino di Vittorio Alfieri (1798)
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In cotanta e così corrotta città, difficile a Catilina non era l’attorniarsi in numeroso corteggio d’ogni più scellerato ed infame. Chiunque, impudico, adultero, banchettatore, avea fra queste arti straziati i beni paterni; e chi era oppresso dai debiti contratti per comprare la impunità di diversi delitti; e quanti parricidi, sacrileghi, convinti rei o vicini ad esserlo: e quanti o dalla spergiura lingua, o dalla insanguinata mano alimenti ritraevano; tutti in somma coloro, cui ribalderia, povertà, e mala coscienza angustiavano, di Catilina famigliari eran tutti e suoi intimi. E se un qualche innocente nella di lui amicizia incappava, la domestichezza e le lusinghe facilmente simile e pari agli altri il rendevano. Ma guadagnarsi bramava principalmente i giovinetti; i di cui animi molli, e per età volubili, con inganni agevolmente adescavansi. Onde, a chi donne, a chi cani e cavalli, secondo le loro brame, provvedea; non al decoro perdonando nè a spesa, purchè se gli rendesse obbligati e fedeli. Molti credettero, il so, che costoro in casa di Catilina si prostituissero: ma una tal fama su congetture più che su fatti fondavasi.