Capitolo LIII.

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Gaio Sallustio Crispo - Della congiura di Catilina (I secolo a.C.)
Traduzione dal latino di Vittorio Alfieri (1798)
Capitolo LIII.
LII LIV

[p. 36 modifica]Sedutosi Catone, i Consolari tutti, e dei Senatori i più, il di lui parere e l’alto valor commendando, l’un altro di codardo si tacciano; Catone solo, come chiaro e fort’uomo, innalzano a cielo: il Senato in somma decreta ciò che opinato aveva Catone. Più volte, leggendo io e ascoltando le chiare imprese de’ Romani interne ed esterne, per mare e per terra condotte; di una tanta grandezza mi piacque indagar le cagioni. Sapeva ben io, da pochissimi Romani più volte essere state sconfitte le intere legioni nemiche: note mi eran le guerre, con picciole forze contro a potenti Re maneggiate; e spesso anco dai nostri provata l’avversa fortuna; superati inoltre noi, nella eloquenza, dai Greci; nella gloria militare, dai Galli. E queste cose tutte fra me rivolgendo, io per certo teneva la sola egregia virtù di alcuni sommi cittadini aver fatto i poveri trionfare dei ricchi, e i pochi dei molti. Corrotta poi Roma dal lusso, e dalla infingardaggine, non ostante i vizj de’ magistrati e de’ capitani, per la immensa sua mole la Repubblica stavasi: ma, come di sublimi parti spossata, non produceva più allora quasi niun uomo grande. A memoria mia non ostante, due ve n’ebbe di gran vaglia, e d’indole dissimili assai: Marco Catone, e Cajo Cesare; d’ambo i quali, opportuno qui essendo, m’è avviso ritrarre, per quanto il saprò, la natura e i costumi.