Capitolo LIV.

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Gaio Sallustio Crispo - Della congiura di Catilina (I secolo a.C.)
Traduzione dal latino di Vittorio Alfieri (1798)
Capitolo LIV.
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[p. 37 modifica]Per nobiltà dunque, per eloquenza, ed età, ma più per altezza d’animo e per acquistata gloria, benchè diversi costoro, eran pari. Cesare, pe’ suoi beneficj e munificenze, tenuto era grande; per la incorrotta vita, Catone. A quello la pietà e la dolcezza acquistavano fama; a questo l’esser severo accrescea maestà: l’uno, col dare, soccorrere, e perdonare; l’altro, col nulla concedere, conseguito egual gloria si aveano. Cesare, degli infelici rifugio; de’ rei flagello, Catone: del primo la facilità, del secondo la fermezza laudavasi. Voleva Cesare affaticarsi, vegliare, sacrificar se stesso agli amici, nè cosa mai di rilievo negare: larga autorità, grand’esercito, nuove guerre ei bramava, campo al suo chiaro valore. Grave e modesto Catone, ma rigido in sommo grado: non egli di ricco fra i ricchi, non di fazioso fra i faziosi al vanto aspirava; ma di coraggioso tra i forti, di verecondo tra i modesti, d’incorruttibile tra gl’incorrotti. Volea Catone, più che parerlo, esser buono: tanta più gloria otteneva così, quanta egli men ne cercava.