Dell'Oreficeria rispetto alla legislazione/X

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In quasi tutti i paesi d’Europa gli orefici e gli argentieri dipendevano allora dai capi eletti da queste assemblee, i quali per l’utilità e la buona fama dell’arte che esercitavano, dovevano vigilare attentamente affinchè nessuno sedotto dall’avidità del guadagno attenuasse la bontà del metallo: tanto il popolo, che ne deve essere il giudice naturale e interessato, era ignorante di questa materia. Da questa derivò per tacito e comune consenso la facoltà che si attribuiscono di apporre un marchio sugli oggetti preziosi, come per malleveria del titolo legale. Tale marchio era volontario, non già obligatorio e vessatorio per l’orefice. In Francia si applicavano i marchi nella casa che chiamavasi degli orefici, e le guardie dell’orificeria che erano specie di delegati eletti dagli orefici sodali, sopraintendevano fedelmente ed efficacemente per mantenere negli artefici la probità [p. 21 modifica]che si ricercava; e per maggiore guarentigia v’era anche la corte delle monete rappresentante come dire il posto supremo della gerarchia a tutti soprastante per curare la lealtà de’ contratti. È facile comprendere come l’industria così organata riuscisse a tener lungi la frode, tanto più se si considera che in tutti i rami sono i pochi che ne commettono con iscredito di tutta la classe, la quale per conseguenza è interessata principalmente ad opporvisi per conservare di sè fama incontaminata. È pertanto da lamentare che tale ingerenza quasi fraterna e domestica sia andata da per tutto in dissuetudine, subentrando in sua vece l’ingerenza governativa la quale aggravò la mano sopra le corporazioni d’arte con detrimento dell’arte medesima. Il che nacque dalle dottrine economiche che professarono i governi ne’ due ultimi secoli, insegnando correre prosperi gli interessi dell’universale in proporzione che l’azion salutare del potere vi metta le mani, e l’accresciuta prosperità nazionale sopportar meglio l’accrescersi delle publiche gravezze. Ma sarà egli vero per modo assoluto che il governo debba tutto, e nulla trattar di per sè i governati come nel regno paterno della China ove il popolo non esce mai di pupillo? Parrebbe di no; anzi mostra la storia che ove i rettori pongono le mani in pasta in ogni faccenda, ivi la civiltà stagna e il genio inventivo resta soffocato non avendo agio di fare sperienza. Ma fosse o non fosse soda la massima professata (forse con retta intenzione e con riuscita diversa), per dire del fatto nostro, il [p. 22 modifica]marchio de’ capi dell’orificeria cedette al bollo officiale, che pure in origine differiva dal presente nell’applicazione, perchè lo scopo fiscale e lo scopo morale erano un po’ meglio intesi.

In generale una tassa gravava sopra i lavori di metalli preziosi, ma la sua percezione era affidata o ad un reggente eletto dal governo, o ad un appaltatore, i commessi del quale non si occupavano di altro che di farla pagare esattamente ai contribuenti; allora come adesso la prova del pagamento appariva dall’impronta che si vedeva negli oggetti, ma si differenziava da quello che facevano publica fede della bontà del metallo.