Dell'Oreficeria rispetto alla legislazione/IX
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IX.
Non fa al mio scopo l’indagare le cause per che l’orificeria italiana oggi subisca un certo come dire ritiramento ai principii, riforbendosi e progredendo a lato delle arti belle; tanto più che trattai di questo argomento abbastanza diffusamente in un opuscolo apposta. V. Dell’orificeria antica, Firenze, Le Monnier, 1862. Solamente osservo che se ella risorge informata dalle artistiche maraviglie che i nostri maggiori ci tramandarono, e che gl’invasori stranieri non poterono rubare, essendo nascoste sotterra, un resto di leggi che molto si attengono alle feudali le fa ostacolo collo scemare la libertà degli artisti, sottoposti ancora a talune interne discipline che molto ripugnano ai tempi e all’incremento generale delle industrie. In vero, gli editti ei bandi che sono in vigore rispetto all’orificeria in Italia e Francia derivano dagli statuti delle corporazioni conosciute forse anche dagli Etruschi come dai Romani per ordinamento di Numa a solo fine di scambievole soccorso e istruzione, e quindi traviate. Plinio e Plutarco in fatti attribuiscono proprio al secondo re di Roma l’origine de’ collegi di operai; Floro a Servio Tullo, e Dionigi d’Alicarnasso assevera che erano già potenti regnante Tarquinio Superbo. Avevano capi, formavano radunanze, si reggevano con leggi, e nelle 12 tavole se ne legittima l’esistenza, purchè gli statuti non avversino le leggi dello Stato: esempio antico da servir di regola al diritto di assembramento di cui oggi si parla tanto. Esisteva il collegio de’ suonatori di flauto e quello degli orefici. Perchè i comuni interessi si giovarono della forza che nasceva dalla loro unione in molte occorrenze politiche, travagliarono i governanti romani. Venuta poi la barbarie e con essa le tirannie, furono travagliate esse stesse, ma non vinte; che anzi mantennero sempre spiriti liberi e aiutarono il clero del medio evo, nella difesa della libertà. Le loro accolte furono formidabili e fondatrici de’ Comuni e in ogni città della penisola furono l’anima delle repubbliche. Alle quali succedendo burrasche e sfaceli, tutti i consorzi furono avvinti al carro governativo, e così smarrita l’indipendenza si sdimenticarono della loro origine che era l’arte e il soccorso fraterno, divenendo congreghe religiose intese a salmeggiare e far processioni col viso incappucciato. Sotto questo aspetto le corporazioni d’arti in Roma non sono mai morte, ma vivono ancora, avente ognuna la propria chiesa.