Del veltro allegorico di Dante/XXVIII.
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XXVIII. Tenace intanto nel proponimento di debellare i pistoiesi, Firenze inviava la sua oste al difficile assedio (maggio 26): vi andavano parimente i lucchesi comandati da Moroello Malaspina di Mulazzo, figlio del marchese Manfredi, ed acre inimico dei bianchi. Per opera di Filippo il bello, e del cardinale di Prato, fu in quei giorni sollevato al soglio il francese Clemente V, che trasportò in Avignone la sedia. I ghibellini ed i bianchi furono grati a Clemente V dell’avere spedito legato in Italia il cardinale Napoleone degli Orsini, con ordine di far levare i fiorentini, i lucchesi dall’oppugnazione di Pistoia (1306). Indarno pregò il cardinale; indarno ei minacciò: e i pistoiesi furono condotti alle piú lagrimevoli strette di fame, non ostante che Tolosato degli Uberti con rara virtú ributtasse gli assalitori. Napoleone degli Orsini, visto l’inutilitá del voler giovare a Pistoia, venne in Bologna, ove grandi mutazioni si preparavano.
Crescendo le animositá contro Ferrara, i bolognesi ebbero trattato col signor di Parma Giberto di Correggio, per togliere ad Azzone VIII Modena e Reggio. Quantunque guelfo, Giberto destreggiò si utilmente cogl’imperiali delle due cittá, che aiutate da esso l’una e l’altra scacciarono gli Estensi e riformaronsi a parte ghibellina: egli, massime in Reggio, vi acquistò l’autoritá principale. Per conservarla e per piacere ai bolognesi, non dubitò Giberto di unirsi palesemente coi ghibellini. Era stata sua moglie in seconde nozze una sorella di Franceschino Malaspina di Mulazzo, figlia di Moroello e di Alagia dei Fieschi: a questo parentado, caro agli amici novelli, aggiunse le nozze di una sua figlia con Alboino della Scala, e di un’altra con Francesco dei Buonaccolsi di Mantova. Il che fatto, Bologna, Modena, Reggio, Parma, Verona e Mantova collegaronsi ai danni di Azzone VIII: ma qui coi denari e col consiglio provvidero i fiorentini, e pervennero a spiccare Bologna da una lega si formidabile ai guelfi. Mostraronle, che piú non dovea temersi l’Estense; che in luogo di lui piú ambiziosi e gagliardi sorgevano i Correggio, gli Scaligeri ed i Buonaccolsi: questi essere i nemici veri, questi da doversi abbassare (marzo I). Né caddero in vano quei detti: Bologna, per subito impeto, rigettò lungi da essa i bianchi ed i ghibellini, facendo allegro ritorno ai guelfi e ad Azzone VIII di Este. Applaudirono i fiorentini, riassumendo le antiche amicizie coi ferraresi e coi bolognesi; né tardarono ad espugnare Pistoia, gli abitanti della quale oppressi dalla penuria si resero, salve le persone (aprile io). Ma tosto videro disfatte le loro mura, e le case dei bianchi, e guasta la loro patria quanto potè la rabbia insolente dei vincitori. E si pose legge a Pistoia che in avvenire le venisse di Firenze il podestá, di Lucca il capitano del popolo: Moroello Malaspina di Manfredi fu il primo di siffatti capitani. Dall’afflitta Pistoia i fiorentini si rivolsero nel Mugello, fermi nel desiderio di abbattere Moote-Accianico, e di soggiogare gli Utaldini fra loro insieme cozzanti dopo la morte avvenuta di Ugolino da Feliceione. Bologna, fatta piú baldanzosa pel trionfo dei fiorentini, corse a furore contro il cardinale degli Orsini, che proteggeva i bianchi; e il costrinse a sloggiare. Trattosi ad Imola il legato, privò i bolognesi dello studio e non risparmiò le scomuniche. Gli scolari ed i maestri ripararono a Padova; ciò fu insigne profitto ed ornamento a quella cittá, ove nel 27 agosto 1306 i pubblici monumenti additano Dante Alighieri, abitante nella contrada di San Lorenzo e presente ad un contratto dei signori di Pappafava.