Del veltro allegorico di Dante/XVIII.
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XVIII. L’ingiustizia fruttò ingiustizia, e gli usciti corsero alle vendette. Gli Ubaldini, gli Ubertini e gli altri magnati si rinchiusero ne’ loro castelli. Tolosato degli Uberti rifuggissi a Pistoia, che ancor teneva coi bianchi. Quattro dei dodici priori, Lapo Salterelli, Palmieri degli Altoviti, Orlanduccio Orlandi e Lapo Biondo col loro stuolo presero e guastarono il castel di Figline in Valdarno: però Nello Guelfoni, capitano del popolo fiorentino, per la seconda volta sentenziavali a morte (giugno 26). Il nuovo podestá di Firenze, Gherardino di Gambara da Brescia, condannavane altri: essere convenuti a parlamento aperto nella terra di San Godenzo; avere spiegato bandiere ostili nel contado fiorentino, ed arso fanciulli e fanciulle per rabbia di parti; questi erano i delitti esagerati forse ma pertinenti a pubblica guerra, pei quali confermava loro la pena del capo (agosto). Lapo Salterelli del Valdarno recossi a Genova col suo collega Gherardino Diodati, che tosto ritornò in Pisa. Di quivi scrisse il Diodati, dovere i bianchi fra piccolo spazio rientrare armata mano in Firenze; per le quali minacce, trovatesi le lettere, molti ebbero mozza la testa; e Gherardino di Gambara dannò al fuoco nuovamente il Salterelli e il Diodati, come convinti di avere ordinato contro Firenze. Lapo era lo stesso, cui Dante nel fine dei giorni suoi e del poema non cessava di dispregiare quale uomo di molle vita, e del pari che Chianghella della Tosa tenero amator della chioma (Parad. XV, 128). Dettava Lapo versi volgari, pei quali è annoverato fra gli antichi rimatori d’Italia.