Pagina:Troya, Carlo – Del veltro allegorico di Dante e altri saggi storici, 1932 – BEIC 1955469.djvu/43


del veltro allegorico di dante 37


questo fatto, l’Alighieri amaramente derise Carlo di Valois sotto il nome di Totila (De vulg. eloq. lib. II, cap. 6). Grandi odii scoppiarono intanto dei bianchi contro Uguccione della Faggiola: ed ecco, dicevano, il pontefice lo assolve dalle censure, promette anzi al figlio di esso il cappello di cardinale. Messer Corso Donati rivolge il pensiero alla figlia, cui forse conobbe in Massa Trabaria. Giá si veggono raffreddati gli animi del principe dei ghibellini: giá Uguccione sembra farsi ossequioso a Corso Donati, ed avere a vile la causa dei bianchi. Perché non assaltare Firenze? o chi trattiene il suo braccio?

Ma Uguccione altrove mirava che a seguir le voglie dei bianchi; piccol tempo dianzi ardentissimi guelfi, ed ora per contese domestiche sì forte rumoreggianti fra i ghibellini. Ei non amava di corrompere il frutto della recente amicizia col papa e con Malatesta e coi Polentani; giudicando non potersi affrontare a viso aperto messer Corso, il superbo dominator di Firenze. L’Alighieri non piú guelfo dopo le atrocitá quivi commesse, ma non ancor ghibellino, sentiva col Faggiolano; e messer Corso era pur suo parente: né piú Bonifazio, venuto al sommo delle risse contro Filippo il bello per cagioni ch’egli è inutile di qui narrare, odiava coloro i quali aveano tenuto contro Carlo di Valois. A quei primi giorni dell’esilio di Dante vuolsi attribuire la sua lettera latina, oggi perduta (Popule meus, quid feci tibi?), nella quale al suo popolo chiedeva che male gli avesse fatto? Ingenua domanda, che rende manifesto non aver egli fino allora imitato i compagni col dar di piglio a quelle loro sì subite armi contro Firenze. Per questa sua temperanza gravissime ire dei bianchi, non meno che contro Uguccione, si accesero contro il poeta: lunghi anni erano trapassati e rimemorava egli ancora fra le sue maggiori sventure di esser caduto nella valle dell’esilio in compagnia si malvagia e dappoco (Par. XVII, 62): appellando matta ed empia ed ingrata (Parad. XVII, 64) quella gente, che altrove chiamò selvaggia (Inf. VI, 65). Che se vinto sì presto dall’impazienza, egli avesse voluto ciò che i bianchi facevano, in che cosa Lapo Salterelli differiva dall’Alighieri? E bene afferma il poeta di