Del veltro allegorico di Dante/XLIX.

XLIX.

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XLVIII. L.

[p. 91 modifica]XLIX. A Gaddo della Gherardesca di Donoratieo in Pisa, ove i suoi maggiori avevano signoreggiato, la gloria e la dominazione di uno straniero erano divenute insoffribili. Parteggiavano con esso Coscetto del Colle, ardito popolano, e Banduccio Buonconte con Piero suo figlio, uomini di gran seguito. Qual sarebbe il fine di questa guerra? Forse Roberto e i fiorentini, per aver solo perduto una battaglia, erano spenti? Anzi la non aspettata vittoria dovea concedere tempo al riposo, ed al trattar di pace onorevole coi superati nemici. Ei non ha vinto Uguccione che per soggiogare Pisa del tutto, né vuole se non farne il seggio di guerra perpetua: senza la guerra che cosa ornai sarebbe di esso? Uguccione, cui tali discorsi non giungevano tardi, fece mozzare il capo ai due Buonconti (marzo 1), che diceva colpevoli di avere voluto al re Roberto sottometter la patria. Ma Castruccio degli Antelminelli pigliava in uguale odio la maggioranza in Lucca di Ranieri o Neri II della Faggiola, succedutovi all’estinto suo fratello nella carica di podestá. Nulladimeno Castruccio fu spedito da Uguccione in Lunigiana, [p. 92 modifica] ove pose a ruba molti castelli di Spinetta Malaspina. Per le quali opere lui condotto a Lucca, ed accusato di furti e di uccisioni, Ranieri II della Faggiola condannò ad avere il capo reciso. E giá la scure feriva Castruccio; ma il popolo minacciò di levarsi a stormo, e il podestá fu costretto di mandare a Pisa pel padre, che sedendo a mensa intese il subito caso. Prolungato per breve ora il convito, ei sorse per andarne a Lucca; pur non fece si presto che i lucchesi non fossero corsi a romore per liberare Castruccio e per gridarlo signore della cittá. Neri della Faggiola fuggi a gran pena. In quello stesso punto, essendo partito Uguccione, Coscetto del Colle assaltava in Pisa il palazzo del podestá; e, cacciatine i seguaci di lui, metteva Pisa in balia di Gaddo della Gherardesca, vendicatore degli uccisi Buonconti (aprile 3). Uguccione pervenuto alla metá della via, che da Pisa conduce a Lucca, fu chiarito della doppia sventura: forse l’avrebbe schivata, e forse altre sorti avrebbe avuto l’Italia, solo che di picciol tempo avesse egli affrettato l’andare. Visto che l’adirarsi era vano, ei riparò presso il marchese Spinetta Malaspina: indi venne a Modena, ove gli onori a lui resi non poterono se non rammentargli la sua sciagura. Di Modena cavalcò al Monte Feltro nativo, donde in ultimo si ridusse a Verona. Can Grande onorò l’illustre guerriero, e il prepose al comando generale delle sue armi.