Del rinnovamento civile d'Italia/Documenti e schiarimenti/XIII
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XIII. Discussione della Camera dei deputati di Torino nella tornata dei 21 di febbraio 1849
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XIII
discussione della camera dei deputati di torino
nella tornata dei 2i di febbraio i849
Depretis. La lettura, che avete voi udito, ha destato quasi unanimi i vostri applausi; il che mi porge argomento che la guerra è imminente e che la nazione si trova in uno di quei momenti supremi, nei quali si decidono i destini dei popoli.
In sí supremo momento il ministro dell’interno ci annunziava una modificazione nel gabinetto del re, e confermava cosi la voce pubblica che ne correva, la quale indicava anche la cagione di quel fatto. Io credo necessario che la nazione sappia intera in proposito la veritá. Al ministero adunque si volgono le mie parole: io chiedo ai signori ministri se il motivo, pel quale fu modificato il gabinetto, sia l’ordine che si dice dato ad una parte del nostro esercito di entrare in Toscana e di riporre sul trono dei Medici il granduca. Attendo uno schiarimento, lo desidero pieno ed intero, perché credo nell’interesse della patria, in si solenni circostanze, che la veritá sia interamente chiarita e conosciuta.
Chiodo, ministro della guerra. Che sia stato dato un tale ordine io non lo so; quello che so si è che il Consiglio dei ministri non ha mai deliberato d’intervenire militarmente nella Toscana, e che il ministero attuale non ha l’intenzione di prendere una tale deliberazione (applausi dalle gallerie).
Depretis. Siccome, dietro le spiegazioni date dall’onorevole signor presidente del Consiglio dei ministri, questo non ha preso la deliberazione a cui accennava, io chiedo di nuovo al ministero che voglia svelarci la cagione dell’occorsa modificazione del gabinetto.
Sineo, ministro di grazia e giustizia. La cagione della modificazione occorsa nel gabinetto è cagione la quale non ha verun séguito; è un fatto compiuto. Eravi un dissenso interno: il dissenziente usci dal gabinetto. Non essendo il caso in cui il gabinetto debba prendere ulteriori deliberazioni in proposito e trattandosi di cosa che non ha alcun séguito, io credo che il parlamento ci dispenserá dal dare ulteriori spiegazioni.
Lorenzo Valerio. Sono lieto che dalle spiegazioni date dai signori ministri risulti che, se vi fu crisi ministeriale, l’azione del parlamento fu a questa interamente estranea. Il giovane nostro parlamento non ebbe ancora, ne’ pochi giorni dacché è convocato, occasione di mostrare quali sono i suoi intendimenti politici e come pensi coadiuvare al ministero nel compierli. Oggi soltanto per la bocca del relatore della sua commissione, incaricata di redigere l’indirizzo in risposta al discorso della corona, potè la voce del parlamento innalzarsi e dire al popolo quali sono i pensieri che lo guidano nella sua carriera.
Però una modificazione ministeriale è sempre grave cosa, e tanto piú grave quando per essa esce dai Consigli della corona un uomo, che per molti meriti procurossi l’amore e la gratitudine del popolo italiano ed in ispecie del popolo subalpino. Onde io credo che nelle gravi emergenze in cui ci troviamo, mentre la cittá è turbata, quando le vie della nostra capitale cosí famosa pel suo quieto vivere e pei civili sentimenti, sono piene di agitazione; io credo di compiere il mio dovere di deputato, insistendo presso il Consiglio dei ministri, affinché, se la cosa può farsi senza danno della cosa pubblica, i motivi del dissentimento tra l’illustre Vincenzo Gioberti e il Consiglio dei ministri vengano francamente ed esplicitamente notificati.
Gioberti. Signori, la posizione che testé occupavo m’impedisce di dare alla Camera quelle dichiarazioni da cui risulterebbe la mia intiera discolpa; ma se la mia delicatezza, se l’obbligo dell’uomo di Stato mi vietano per ora questa manifestazione, verrá il giorno in cui io potrò farla, e la farò in tal modo che ridurrò non solo a silenzio ma a rossore i miei opponenti (applausi misti a mormorio).
Per ora, o signori, mi contento di attestare sull’onor mio che il dissenso, sorto tra i miei antichi colleghi e me, verte intorno una di quelle questioni che si possono dibattere onorevolmente dalle due parti e non si riferiscono ai punti della politica nazionale, espressi nel nostro programma e che ottennero l’assenso di tutta la Camera.
Ecco la sola professione di fede che in questo punto io posso fare. Ma ciò che non posso far oggi lo farò come prima le convenienze, i riguardi, il giuramento di Stato che ho prestato me lo permettano, imperocché io non sono di quei ministri che si credono lecito di pubblicare nei giornali e travisare le cose che si dicono e si trattano nei penetrali del Consiglio (susurro). Permettetemi ancora che vi aggiunga una preghiera, cioè di non credere a certe relazioni che furono fatte sul conto mio da alcuni giornali, imperocché io vi attesto pure sull’onor mio che queste relazioni sono false, sono calunniose e che, quando saprete quale sia la piccola parte di vero che ci si contiene, io mi affido che avrò non solo l’approvazione ma la lode di questo insigne consesso (applausi e rumori nelle gallerie).
Rattazzi, ministro dell’interno. Non era mia intenzione di prendere la parola in questa malaugurata discussione, ma alcune espressioni sfuggite all’illustre preopinante, le quali tenderebbero a gettare il rossore su quelli che furono ad esso lui opponenti, mi astringono mio malgrado a spiegare quale fu la causa vera del dissenso insorto (bene).
Non credo di mancare al mio giuramento, poiché non si tratta di pubblicare i secreti di Stato, i quali possano comprometterne la salvezza; si tratta unicamente di palesare una causa di dissenso insorta fra i vari membri del gabinetto, e che obbligarono uno di essi a ritirarsi. Ora, trattandosi di un fatto che non era compiuto e che non si deve nelle condizioni attuali compiere, io non veggo come la salute dello Stato richieda un assoluto silenzio.
Era delicatezza dal canto nostro di serbarlo; ma quando ci veniamo astretti, quando ci è gettato il rossore sul volto, dichiaro... (applausi prolungati dalle gallerie).
Presidente. Preveggo che in questo modo la Camera non può deliberare: le sue deliberazioni devono esser prese pacatamente e non sotto l’influenza delle passioni e delle grida.
Se un’altra volta si rinnoveranno questi disordini, farò sgombrare le gallerie.
Rattazzi, ministro dell’interno. Or bene, io dichiaro che la causa del dissenso sorse dacché l’illustre presidente del Consiglio era d’avviso che si dovesse intervenire negli affari di Toscana per ristabilire sul trono il granduca.
Io fui il primo opponente; e appunto allorché trattavasi di prendere questa deliberazione, io aveva deliberato di rimettere il portafoglio quando si fosse presa (applausi prolungati, sensazione).
Presidente. Avverto che se si rinnoveranno questi disordini nelle gallerie, se si faranno segni di approvazione o di disapprovazione, io le farò sgombrare.
Alcune voci. Le faccia sgombrar subito.
Rattazzi, ministro dell’interno. Siccome la deliberazione non fu adottata, noi che eravamo d’avviso contrario credemmo di rimanere.
Signori, siamo in un momento in cui il governo ha d’uopo della piena fiducia della nazione, e perciò non devono essere occulte le cose che possono esser sinistramente interpretate; esse devono conoscersi, affinché possiamo conoscere noi pure se abbiamo il voto della nazione (bene).
Gioberti. Dichiaro che, quando mi sono servito della parola «rossore», non alludeva né ai presenti ministri né ad alcun membro della Camera, ma bensí a certi scritti calunniosi ed indecenti che oggi si pubblicano.
Riguardo poi alle cose dichiarate dal signor ministro dell’ interno, credo di poter rispondere e dire, senza mancare alla convenienza del grado che testé occupava, che io non ho mai voluto l’intervento nel senso stretto di questa parola; che non ho mai voluto pigliare parte ad alcuna operazione che si opponesse menomamente alla sovranitá del popolo, a quel diritto che ne è la conseguenza, per cui i popoli possono costituirsi come stimano opportuno.
Io non posso dir di piú; l’affare a cui avevo posto mano e che suscitò un disparere tra i miei colleghi e me, era un mezzo efficace per ottenere l’indipendenza, per vincere quella guerra che è lo scopo di tutti (bravo).
Posso attestare, o signori, che se io non avessi avuta una persuasione profonda che un tale atto ci avrebbe agevolata la guerra dell’indipendenza e forse accelerata la vittoria, io non avrei mai preso tale deliberazione (bene).
Io mi sento perciò obbligato, per ora, a coprire col piú gran secreto quanto venne agitato nel Consiglio dei ministri e le pratiche da me tenute coi diversi potentati d’ Europa; ma vi replico che verrá il giorno in cui potrò convenientemente giustificarmi, e allora avrò non solo la vostra approvazione, o signori, permettetemi che ve lo dica, perché è un omaggio che vi rendo, ma eziandio la vostra lode (movimenti in senso diverso).
Rattazzi, ministro dell’interno. Non ho mai inteso di mettere in dubbio il patriottismo dell’illustre preopinante: i sentimenti suoi verso l’Italia sono appieno conosciuti; ognuno sa quanto ha fatto per il Risorgimento italiano, e nessuno può dubitare di questo.
Ma il dissenso cadeva soltanto sopra i mezzi: il dissenso era precisamente quello che io ho indicato. Io poi vorrei che l’onorevole preopinante m’ indicasse cosa intende per intervento. Se il mandare truppe in Toscana, il mandarle coll’ordine di ristabilirvi il granduca non è intervento, io non so piú che s’abbia ad intendere sotto quel nome.
Gioberti. Io mi contenterò di fare una sola avvertenza alle cose dette dall’onorevole signor ministro, imperocché confesso che l’obbligo del segreto ministeriale era da me interpretato in modo molto ben diverso da lui.
Egli mi chiede se non sia intervento il mandare truppe armate in Toscana. Mi conceda la Camera che, per non entrare nei casi particolari, intorno a cui non posso esprimermi liberamente, io generalizzi la proposizione del signor ministro. Io chieggo se è intervento, nel senso che si dá in politica a questa parola, l’entrare in uno Stato qualunque con uomini armati; e rispondo: se questo ingresso è chiesto dal principe e dal popolo, non è piú intervento; se si fa contro la volontá del principe e del popolo, allora è un intervento, allora io lo disapprovo e lo dichiaro altamente all’assemblea.
Questa è la tesi generale. Io non posso entrare, lo ripeto, nei particolari: ma persuadetevi, o signori, che ho creduto di poterne fare l’applicazione la piú sincera di questa regola, senza che ora abbia a pentirmene.
Molte voci. La chiusura!
Presidente. Chieggo se essa è appoggiata: poi la metterò ai voti.
Gioberti. Io mi associo anche alla domanda fatta, perché la posizione delle due parti non è la stessa. Io mi credo vincolato, e non stimo di poter dar maggiori spiegazioni né di svelare quelle circostanze che mi giustificherebbero compiutamente; e ben vedo che dalla discussione potrebbero nascere tali inchieste a cui mi è impossibile, come giá dissi, rispondere presentemente.
Rattazzi, ministro dell’interno. Io non posso ammettere le osservazioni dell’illustre preopinante, e non posso comprendere la giustificazione di un pubblico uffiziale, quando si nasconde col dire che non si può giustificare. D’altronde siffatta giustificazione è un’accusa contro il ministero: quindi eccito nuovamente il preopinante a dire chiaramente come si passarono le cose, affinché si sappia da tutti la veritá.
Presidente. La chiusura essendo appoggiata, io la metterò ai voti.
Ranco. Domando la parola. La questione è di tanta importanza, che io credo che la Camera non possa procedere all’ordine del giorno senza prendere una deliberazione. La Camera ha inteso le spiegazioni date dai ministri che sono al banco ministeriale: io credo che sarebbe conveniente di dichiarare che la Camera, udite le spiegazioni date dai ministri restanti, dichiarasse che essi hanno molto bene interpretato il voto del paese, che hanno molto bene meritato della patria. In secondo luogo, udite le spiegazioni date dal ministro della guerra, risultando dalle spiegazioni che l’ex-presidente del Consiglio ha fatto a meno di consultare i suoi colleghi intorno ad una questione di massima importanza, per conseguenza io credo che abbia voluto versare sopra gli altri suoi colleghi {rumori) la responsabilitá de’ suoi atti: proporrei che la Camera lo mettesse in istato di accusa {vivi segni di disapprovazione).
Gioberti. Il preopinante mi accusa di aver preso le deliberazioni di cui si parlava ad insaputa e, per conseguenza, contro il volere de’ miei onorandi colleghi. Anche su questo punto io sarò laconico e contenterommi di una sola osservazione. Quando si trattò di deliberare sul punto accennato, la maggioritá del Consiglio dei ministri fu del mio parere, ed uno dei membri di esso ebbe parte di spettatore e di uditore a tutti gli apparecchi del negozio. Quando poi si venne al punto dell’esecuzione, tutti i miei colleghi dissentirono da me; e per conseguenza, essendo impegnato nell’esecuzione medesima, dovetti, per principio di onore e secondo le regole delle monarchie costituzionali, rassegnare la mia carica nelle mani del principe.
Io affermo adunque che la misura da me proposta fu approvata dalla maggioritá dei miei colleghi. Io l’attesto sull’onor mio, e dichiaro (non crediate, o signori, che io voglia fare un’applicazione personale della parola di cui mi servo), e dichiaro che chiunque asserisca il contrario è un mentitore {rinnovi e segni di disapprovazione).
Sineo, ministro di grazia e giustizia. Domando la parola.
Rattazzi, ministro dell’interno. La chiusura è stata appoggiata, dimodoché io credo che si debba mettere ai voti.
Molte voci. Ai voti! ai voti!
Presidente. La chiusura deve essere appoggiata; ma siccome vi è ancora chi chiede la parola contro della medesima, io non posso negarla a termini del regolamento.
La parola è al ministro di grazia e giustizia.
Sineo, ministro di grazia e giustizia. I termini di cui si è servito il preopinante rendono molto doloroso il rispondere. Tuttavia non possiamo prescindere dall’affermare unanimemente che nessuno di noi ha acconsentito all’intervento in Toscana.
Siotto Pintor. Comunque io creda lodevolissima l’intenzione di chi ha motivato l’ordine del giorno, tuttavia nella mia profonda convinzione mi vi oppongo assolutamente. Le ragioni per cui mi oppongo sono i termini nei quali è concepito, cioè che la Camera dichiari che il «restante dei ministri» bene meritò della patria. Ora io domando: cosa significa questa parola «il restante»? Quando si dice che meritarono bene della patria i ministri che restano, si dice implicitamente che male meritò il ministro che sorti (sensazione). In questo senso adunque ogni ordine del giorno che tenda direttamente ad infamare persona che ha tanto meritato della patria... io lo respingo (rumori fragorosi di approvazione e di disapprovazione).
Pertanto io propongo l’ordine del giorno puro e semplice.
Rattazzi, ministro dell’interno. Se le parole con cui è espresso l’ordine del giorno potessero indicare qualsiasi disapprovazione contro l’ illustre ex-presidente del Consiglio, l’ istesso ministero vi si opporrebbe. Perciò esso stesso prega il deputato il quale presentò quest’ordine del giorno a combinarlo in modo che si mantenga illeso l’onore del medesimo (bravo! bene!).
Brofferio. Dirò pochissime parole, colla massima calma e col piú grande desiderio di conciliazione.
Nello stato grave in cui trovasi la patria è d’uopo che il paese sappia in chi colloca la sua fiducia. Una catastrofe è succeduta; non vediamo piú al ministero un chiaro personaggio, che sin qui fu risguardato come il piú illustre iniziatore del Risorgimento italiano: vediamo sullo scanno del potere sette ministri, i quali si separarono unanimi dalla politica del presidente e stanno soli al timone della cosa pubblica.
Tacciasi sulle grandi cadute e non siano amareggiate da parole di disapprovazione; ma sappia il paese da chi è governato e in chi pone la fiducia sua, mentre la nave dello Stato è sbattuta da contrari venti.
Gli attuali ministri, opponendosi alla politica del loro presidente, che sarebbe stata fatalissima all’Italia, si portarono da buoni cittadini; quindi propongo alla Camera che, prescindendo dall’ordine del giorno del deputato Ranco, dichiari che i ministri hanno bene meritato della patria.
Presidente. Tre proposte si sono fatte per terminare la questione che si agita adesso. Una è quella dell’ordine del giorno puro e semplice, l’altra del deputato Ranco, la terza finalmente è del deputato Brofferio. Naturalmente l’ordine del giorno puro e semplice deve avere la prioritá. Lo metterò dunque ai voti.
Ministro dell’interno. Dichiaro a nome del ministero che, trattandosi di cosa che lo riguarda, esso si manterrá estraneo a qualsiasi votazione (bene, bene).
Presidente. In questo punto mi vien presentato un altro ordine del giorno del deputato Viora, espresso in questi termini:
«La Camera, riconoscendo che il ministero ha bene interpretato il voto della nazione, passa all’ordine del giorno».
Viora. I motivi sopra i quali si fonda quest’ordine del giorno sono li seguenti: la Camera deve sentire il bisogno di dichiarare che essa partecipa alle convinzioni dei ministri restanti, per quanto riguarda l’intervento in Toscana; per quantunque grande sia la stima che nel mio particolare io nutra verso gli alti talenti, verso l’ingegno, verso il carattere sublime di Vincenzo Gioberti, certo noi, non avendo potuto far nostre quelle sue convinzioni che riguardano un punto tanto importante quanto è quello dell’intervento, non potremo votare secondo lui, perché, come dico, ciascuno vota secondo la sua coscienza e non secondo il consiglio d’un uomo per quantunque grande.
La seconda riflessione su cui si fonda l’ordine del giorno tche inopportuno sarebbe per ora il far l’elogio particolare del ministero, dichiarando che abbia ben meritato della patria. Oh! salvi la patria il ministero, ed allora ci congiungeremo tutti assieme per dichiarare che egli ha ben meritato della patria e della nazione.
Brofferio. Chi salverá la patria? La patria è d’uopo salvarla sul campo di battaglia, e il piú grande italiano sará quello che avrá la gloria della cacciata straniera. Ma se in gravissime contingenze, mentre stava per accendersi la guerra fraterna che avrebbe sconvolta l’Italia e aperto il varco allo straniero, opponendosi i ministri ad una sventurata politica, impedirono che il funesto disegno fosse consumato, fecero opera degnissima di pubblica lode; quindi insisto piú che mai perché sia pronunciata una parola di conforto, da cui sia fatto manifesto che la nazione approva in quest’ultima contingenza la loro condotta (applausi).
Presidente. Vorrebbe il deputato Brofferio formulare la sua proposta od accomodarsi a quella giá formulata del deputato Viora, modificata in questi termini: cioè che «la Camera, riconoscendo che il ministero ha bene interpretato il voto della nazione, passa all’ordine del giorno»?
Brofferio. Io acconsento a questa relazione.
Presidente. Siccome la discussione porta che si debba votare prima sopra l’ordine del giorno puro e semplice, lo metterò ai voti.
(La Camera lo rigetta).
Ora metterò ai voti l’ordine del giorno motivato che presentava il deputato Viora (vedi sopra).
(La Camera approva).