Del coraggio nelle malattie/XIII.
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XIII.
Anco un’intima persuasione di resistenza, o una volontà decisa di averla, dà coraggio. Per quanto una malattia infierisca e s’allunghi, si trovan alcuni che mostrano un indicibil coraggio per non temerne prave conseguenze. Sia che’eglino s’affidino in sull’età, sia che sentano in sè stessi abbastanza di vigore per resistervi, sia che scorrano con il pensiero nella costituzione dominante morbosa, e ci vedano degli esempj e dei confronti che loro ispirin lusinga; certo è che ne succede di osservare un tal fatto. Que’ tali trovano pronto il coraggio, perchè non sentono in sè medesimi avvertimento di doverlo perdere. E però alla stessa loro resistenza, che è reale perchè la provano tra sè stessi, aggiungono validità e rinforzo; che è tutto quello che ne’ mali può desiderarsi, cioè che sia sempre l’infermo superiore di forza al male, onde è travagliato.
Alcuni altri se non hanno realmente così fatta resistenza, se la procurano colla volontà, vale a dire colla ferma determinazione di resistere alle congerie del male, e massime agli accessi de’ dolori. L’uomo acquista forza volendo. Dunque taluni credono un’effeminatezza il lagnarsi dei mali; altri si risolvono a soffrirli con tutta la costanza; altri docilmente si prestano agli alimenti ed agli altri soccorsi, persuasi del loro bisogno di gagliardezza per reggere a dovere contro l’urto del loro malore; altri vi suppliscono coll’affettare in certa maniera sì fatto carattere animoso ed invitto. Queste son altre specie di coraggio, riconosciute anch’elle utili in alcune occasioni, perchè è credibile che sieno capaci ora di aizzare, o di tener in registro la vibratilità degli istrumenti vitali corrispondenti al comune sensorio, e sì concorrere al riordinamento dello sconcerto; ed ora di minorare la sensazione e gl’intimi contrasti morbosi, per quello che le fibre venendo con ciò a sostenere le stesse impressioni per qualche tempo, acquistano maggior mobilità, oppongono minor resistenza, soffrono minor affritto, e producono per conseguenza minor sensazione, e quindi i contrasti s’allentano. Nel qual senso spiegò giudiziosamente il ch. Padre Soave1 il motivo, per cui tante sensazioni a lungo andare diventano indifferenti.
- ↑ Op. cit.