Dei delitti e delle pene (1821)/XXXII
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§ XXXII.
Dei debitori.
La buona fede dei contratti, la sicurezza del commercio costringono il legislatore ad assicurare ai creditori le persone dei debitori falliti. Ma io credo importante il distinguere il fallito doloso dal fallito innocente: il primo dovrebb’essere punito coll’istessa pena che è assegnata ai falsificatori delle monete; poichè il falsificare un pezzo di metallo coniato, che è un pegno delle obbligazioni de’ cittadini, non è maggior delitto che il falsificare le obbligazioni stesse. Ma il fallito innocente, ma colui che dopo un rigoroso esame ha provato innanzi a’ suoi giudici, che o l’altrui malizia, o l’altrui disgrazia, o vicende inevitabili dalla prudenza umana, lo hanno spogliato delle sue sostanze, per qual barbaro motivo dovrà essere gettato in una prigione, privo dell’unico e tristo bene che gli avanza, di una nuda libertà, a provare le angosce de’ colpevoli, e colla disperazione della probità oppressa, a pentirsi forse di quella innocenza, colla quale vivea tranquillo sotto la tutela di quelle leggi che non era in sua balia di non offendere? leggi dettate dai potenti per avidità, e dai deboli sofferte per quella speranza, che per lo più scintilla nell’animo umano, la quale ci fa credere gli avvenimenti sfavorevoli esser per altri, e gli avvantaggiosi per noi! Gli uomini, abbandonati ai loro sentimenti i più ovvii, amano le leggi crudeli, quantunque, soggetti alle medesime, sarebbe dell’interesse di ciascuno che fossero moderate, perchè è più grande il timore di essere offesi, che la voglia di offendere. Ritornando all’innocente fallito, dico, che se inestinguibile dovrà essere la di lui obbligazione sino al totale pagamento, se non gli sia concesso di sottrarvisi senza il consenso delle parti interessate, e di portar sotto altre leggi la propria industria, la quale dovrebbe essere costretta, sotto pene, ad essere impiegata a rimetterlo in istato di soddisfare proporzionalmente ai guadagni; qual sarà il pretesto legittimo, come la sicurezza del commercio, come la sacra proprietà dei beni, che giustifichi una privazione di libertà, inutile fuori che nel caso di fare coi mali della schiavitù svelare i secreti di un supposto fallito innocente, caso rarissimo nella supposizione di un rigoroso esame? Credo massima legislatoria, che il valore degl'inconvenienti politici sia in ragione composta della diretta del danno pubblico, e della inversa della improbabilità di verificarsi1.
Potrebbesi distinguere il dolo dalla colpa grave, la grave dalla leggiera, e questa dalla perfetta innocenza, ed assegnando al primo le pene dei delitti di falsificazione, alla seconda minori, ma con privazione di libertà, riserbando all’ultima la scelta libera dei mezzi di ristabilirsi, togliere alla terza la libertà di farlo, lasciandola ai creditori. Ma le distinzioni di grave e di leggiero debbon fissarsi dalla cieca ed imparzial legge, non dalla pericolosa ed arbitraria prudenza dei giudici. Le fissazioni dei limiti sono così necessarie nella politica, come nella matematica, tanto nella misura del ben pubblico, quanto nella misura delle grandezze.
Con quale facilità il provvido legislatore potrebbe impedire una gran parte dei fallimenti colpevoli, e rimediare alle disgrazie dell’innocente industrioso! La pubblica e manifesta registrazione di tutti i contratti, e la libertà a tutti i cittadini di consultarne i documenti bene ordinati; un banco pubblico formato dai saggiamente ripartiti tributi sulla felice mercatura, e destinato a soccorrere colle somme opportune l’infelice ed incolpabile membro di essa, nessun reale inconveniente avrebbero, ed innumerabili vantaggi possono produrre. Ma le facili, le semplici, le grandi leggi, che non aspettano che il cenno del legislatore per ispandere nel seno della nazione la dovizia e la robustezza, leggi che d’inni immortali di riconoscenza di generazione in generazione lo ricolmerebbero, sono o le meno cognite, o le meno volute. Uno spirito inquieto e minuto, la timida prudenza del momento presente, una guardinga rigidezza alle novità s’impadroniscono dei sentimenti di chi combina la folla delle azioni dei piccoli mortali.
Note
- ↑ Il commercio, la proprietà dei beni non sono un fine del patto sociale, ma possono essere un mezzo per ottenerlo. L’esporre tutti i membri della società ai mali per cui tante combinazioni vi sono per farli nascere, sarebbe un subordinare i fini ai mezzi, paralogismo di tutte le scienze, e massimamente della politica, nel quale son caduto nelle precedenti edizioni, ove dicea, che il fallito innocente dovesse essere custodito come un pegno de’ suoi debiti, o adoperato come schiavo al lavoro pei creditori. Ho vergogna di avere scritto così. Sono stato accusato d’irreligione, e non lo meritava. Sono stato accusato di sedizione, e non lo meritava. Ho offeso i diritti dell’umanità, e nessuno me ne ha fatto rimprovero!