Dei delitti e delle pene (1821)/IV
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§ IV.
Interpretazione delle leggi.
Quarta conseguenza: nè meno l’autorità d’interpretare le leggi penali può risedere presso i giudici criminali, per la stessa ragione che non sono legislatori. I giudici non hanno ricevuto le leggi dagli antichi nostri padri come una tradizione domestica ed un testamento, che non lasciasse ai posteri che la cura di ubbidire, ma le ricevono dalla vivente società, o dal sovrano rappresentatore di essa, come legittimo depositario dell’attuale risultato della volontà di tutti; le ricevono non come obbligazioni d’un antico giuramento1; nullo, perchè legava volontà non esistenti; iniquo, perchè riduceva gli uomini dallo stato di società allo stato di mandra; ma come effetti di un tacito o espresso giuramento, che le volontà riunite dei viventi sudditi hanno fatto al sovrano, come vincoli necessari per frenare e reggere l’intestino fermento degli interessi particolari. Quest’è la fisica e reale autorità delle leggi. Chi sarà dunque il legittimo interpetre della legge? Il sovrano, cioè il depositario delle attuali volontà di tutti, o il giudice, il di cui ufficio è solo l’esaminare, se il tal uomo abbia fatto, o no, un’azione contraria alle leggi?
In ogni delitto si deve far dal giudice un sillogismo perfetto: la maggiore dev’essere la legge generale; la minore l’azione conforme, o no, alla legge; la conseguenza, la libertà, o la pena. Quando il giudice sia costretto, o voglia fare anche soli due sillogismi, si apre la porta all’incertezza.
Non vi è cosa piú pericolosa di quell’assioma comune, che bisogna consultare lo spirito della legge. Questo è un argine rotto al torrente delle opinioni. Questa verità, che sembra un paradosso alle menti volgari, piú percosse da un piccolo disordine presente che dalle funeste ma rimote conseguenze che nascono da un falso principio radicato in una nazione, mi sembra dimostrata. Le nostre cognizioni e tutte le nostre idee hanno una reciproca connessione; quanto piú sono complicate, tanto piú numerose sono le strade che ad esse arrivano, e ne partono. Ciascun uomo ha il suo punto di vista; ciascun uomo in differenti tempi ne ha un diverso. Lo spirito della legge sarebbe dunque il risultato di una buona o cattiva logica di un giudice, di una facile o malsana digestione; dipenderebbe dalla violenza delle sue passioni, dalla debolezza di chi soffre, dalle relazioni del giudice coll’offeso, e da tutte quelle minime forze che cangiano le apparenze di ogni oggetto nell’animo fluttuante dell’uomo. Quindi veggiamo la sorte di un cittadino cambiarsi spesse volte nel passaggio che fa a diversi tribunali, e le vite de’ miserabili essere la vittima dei falsi raziocinii, o dell’attuale fermento degli umori d’un giudice, che prende per legittima interpetrazione il vago risultato di tutta quella confusa serie di nozioni che gli muove la mente. Quindi veggiamo gli stessi delitti dallo stesso tribunale puniti diversamente in diversi tempi, per aver consultato non la costante e fissa voce della legge, ma l’errante instabilità delle interpetrazioni.
Un disordine che nasce dalla rigorosa osservanza della lettera di una legge penale, non è da mettersi in confronto coi disordini che nascono dalla interpretazione. Un tal momentaneo inconveniente spinge a fare la facile e necessaria correzione alle parole della legge, che sono la cagione dell’incertezza; ma impedisce la fatale licenza di ragionare, da cui nascono le arbitrarie e venali controversie. Quando un codice fisso di leggi che si debbono osservare alla lettera, non lascia al giudice altra incombenza che di esaminare le azioni de’ cittadini, e giudicarle conformi o difformi alla legge scritta; quando la norma del giusto e dell’ingiusto, che deve dirigere le azioni sí del cittadino ignorante come del cittadino filosofo, non è un affare di controversia, ma di fatto; allora i sudditi non sono soggetti alle piccole tirannie di molti tanto più crudeli, quanto è minore la distanza fra chi soffre e chi fa soffrire; più fatali che quelle di un solo, perchè il dispotismo di molti non è correggibile che dal dispotismo di un solo; e la crudeltà di un dispotico è proporzionata non alla forza, ma agli ostacoli. Così acquistano i cittadini quella sicurezza di loro stessi, che è giusta, perchè è lo scopo per cui gli uomini stanno in società, che è utile, perchè gli mette nel caso di esattamente calcolare gl’inconvenienti di un misfatto. Egli è vero altresì che acquisteranno uno spirito d’indipendenza, ma non già scuotitore delle leggi e ricalcitrante a’ supremi magistrati; bensì a quelli che hanno osato chiamare col sacro nome di virtù la debolezza di cedere alle loro interessate o capricciose opinioni. Questi principii spiaceranno a coloro che si sono fatto un diritto di trasmettere agl’inferiori i colpi della tirannia che hanno ricevuto dai superiori. Dovrei tutto temere, se lo spirito di tirannia fosse componibile collo spirito di lettura.
Note
- ↑ Se ogni membro particolare è legato alla società, questa è parimente legata con ogni membro particolare per un contratto che di sua natura obbliga le due parti. Questa obbligazione, che discende dal trono fino alla capanna, che lega egualmente e il più grande e il più miserabile fra gli uomini, non altro significa, se non che è interesse di tutti che i patti utili al maggior numero sieno osservati.
La voce obbligazione è una di quelle molto più frequenti in morale, che in ogni altra scienza, e che sono un segno abbreviativo d’un raziocinio, e non di una idea: cercatene una alla parola obbligazione, e non la troverete; fate un raziocinio, e intenderete voi medesimo, e sarete inteso.