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18 dei delitti


ma come effetti di un tacito o espresso giuramento, che le volontà riunite dei viventi sudditi hanno fatto al sovrano, come vincoli necessari per frenare e reggere l’intestino fermento degli interessi particolari. Quest’è la fisica e reale autorità delle leggi. Chi sarà dunque il legittimo interpetre della legge? Il sovrano, cioè il depositario delle attuali volontà di tutti, o il giudice, il di cui ufficio è solo l’esaminare, se il tal uomo abbia fatto, o no, un’azione contraria alle leggi?

In ogni delitto si deve far dal giudice un sillogismo perfetto: la maggiore dev’essere la legge generale; la minore l’azione conforme, o no, alla legge; la conseguenza, la libertà, o la pena. Quando il giudice sia costretto, o voglia fare anche soli due sillogismi, si apre la porta all’incertezza.

Non vi è cosa piú pericolosa di quell’assioma comune, che bisogna consultare lo spirito della legge. Questo è un argine rotto al torrente delle opinioni. Questa verità, che sembra un paradosso alle menti volgari, piú percosse da un piccolo disordine presente che dalle funeste ma rimote conseguenze che nascono da un falso principio radicato in una nazione, mi sembra dimostrata. Le nostre cognizioni e tutte le nostre idee hanno una reciproca connessione; quanto piú sono complicate, tanto piú numerose sono le strade che ad esse arrivano, e ne partono. Ciascun uomo ha il suo punto di vista; ciascun uomo in differenti tempi ne ha un diverso. Lo spirito della legge sarebbe dunque il risultato di una buona o cattiva logica di un giudice, di una