Dei delitti e delle pene (1780)/Capitolo XLI
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§. XLI
'Come si prevengano i delitti.
È meglio prevenire i delitti, che punirli. Questo è il fine principale di ogni buona legislazione, che è l’arte di condurre gli uomini al massimo di felicità, o al minimo d’infelicità possibile, per parlare secondo tutti i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi, ed opposti al fine proposto. Non è possibile il ridurre la turbolenta attività degli uomini ad un ordine geometrico senza irregolarità e confusione. Come le costanti e semplicissime leggi della natura non impediscono che i pianeti non si turbino nei loro movimenti: così, nelle infinite ed oppostissime attrazioni del piacere e del dolore, non possono impedirsene dalle leggi umane i turbamenti ed il disordine. Eppur questa è la chimera degli uomini limitati, quando abbiano il comando in mano. Il proibire una moltitudine di azioni indifferenti non è prevenire i delitti che ne possono nascere, ma egli è un crearne dei nuovi; egli è un definire a piacere la virtù ed il vizio, che ci vengono predicati eterni ed immutabili. A che saremmo ridotti, se ci dovesse esser vietato tutto ciò che può indurci a delitto? bisognerebbe privar l’uomo dell’uso de’ suoi sensi. Per un motivo che spinge gli uomini a commettere un vero delitto, ve ne sono mille che gli spingono a commettere quelle azioni indifferenti che chiamansi delitti dalle male leggi; e se la probabilità dei delitti è proporzionata al numero dei motivi, l’ampliare la sfera dei delitti è un crescere la probabilità di commetterli. La maggior parte delle leggi non sono che privilegi, cioè un tributo di tutti al comodo di alcuni pochi. Volete prevenire i delitti? fate, che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano, meno le classi degli uomini, che gli uomini stessi. Fate che gli uomini le temano, e temano esse sole. Il timor delle leggi è salutare; ma fatale e fecondo di delitti è quello di uomo a uomo. Gli uomini schiavi sono più voluttuosi, più sfrenati, più crudeli degli uomini liberi. Questi meditano sulle scienze, meditano sugl’interessi della nazione, veggono grandi oggetti, e gl’imitano; ma quegli, contenti del giorno presente, cercano fra lo strepito del libertinaggio una distrazione dall’annientamento in cui si veggono: avvezzi all’incertezza dell’esito di ogni cosa, l’esito de’ loro delitti divien problematico per essi, in favore della passione che li determina. Se l’incertezza delle leggi cade su di una nazione indolente per clima, ella mantiene ed aumenta la di lei indolenza e stupidità: se cade in una nazione voluttuosa, ma attiva, ella ne disperde l’attività in un infinito numero di piccole cabale ed intrighi, che spargono la diffidenza in ogni cuore, e che fanno del tradimento e della dissimulazione la base della prudenza: se cade su di una nazione coraggiosa e forte, l’incertezza vien tolta alla fine, formando prima molte oscillazioni dalla libertà alla schiavitù, e dalla schiavitù alla libertà.
Volete prevenire i delitti? fate, che i lumi accompagnino la libertà. I mali, che nascono dalle cognizioni, sono in ragione inversa della loro diffusione; e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante, e le fischiate di un illuminato. Le cognizioni, facilitando i paragoni degli oggetti, e moltiplicandone i punti di vista, contrappongono molti sentimenti gli uni agli altri, che si modificano vicendevolmente, tanto più facilmente, quanto si preveggono negli altri le medesime viste e le medesime resistenze. In faccia ai lumi sparsi con profusione nella nazione, tace la calunniosa ignoranza, e trema l’autorità disarmata di ragioni, rimanendo immobile la vigorosa forza delle leggi, perchè non v’è uomo illuminato, che non ami i pubblici, chiari, ed utili patti della commune sicurezza, paragonando il poco d’inutile libertà da lui sacrificata, alla somma di tutte le libertà sacrificate dagli altri uomini, che senza le leggi poteano divenire cospiranti contro di lui. Chiunque ha un’anima sensibile, gettando uno sguardo su di un codice di leggi ben fatto, e trovando di non aver perduto che la funesta libertà di far male altrui, sarà costretto a benedire il trono e chi vi siede.
Non è vero che le scienze sian sempre dannose all’umanità; e quando lo furono, era un male inevitabile agli uomini. La moltiplicazione dell’uman genere sulla faccia della terra introdusse la guerra, le arti più rozze, le prime leggi, che erano patti momentanei che nascevano colla necessità, e con essa perivano. Questa fu la prima filosofia degli uomini, i di cui pochi elementi erano giusti, perchè la loro indolenza e poca sagacità li preservava dall’errore. Ma i bisogni si moltiplicavano sempre più col moltiplicarsi degli uomini. Erano dunque necessarie impressioni più forti e più durevoli, che li distogliessero dai replicati ritorni nel primo stato d’insociabilità, che si rendeva sempre più funesto. Fecero dunque un gran bene all’umanità quei primi errori, che popolarono la terra di false divinità (dico gran bene politico), e che crearono un universo invisibile regolatore del nostro. Furono benefattori degli uomini quegli, che osarono sorprenderli, e strascinarono agli altari la docile ignoranza. Presentando loro oggetti posti di là dai sensi, che lor fuggivan davanti a misura che credean raggiungerli, non mai disprezzati, perchè non mai ben conosciuti, riunirono e condensarono le divise passioni in un solo oggetto, che fortemente gli occupava. Queste furono le prime vicende di tutte le nazioni, che si formarono da popoli selvaggi; questa fu l’epoca della formazione delle grandi società, e tale ne fu il vincolo necessario, e forse unico. Non parlo di quel popolo eletto da Dio, a cui i miracoli più straordinarj, e le grazie più segnalate tennero luogo della umana politica. Ma come è proprietà dell’errore il sottodividersi all’infinito; così le scienze che ne nacquero, fecero degli uomini una fanatica moltitudine di ciechi, che in un chiuso laberinto si urtano e si scompigliano, di modo che alcune anime sensibili e filosofiche regrettarono per sino l’antico stato selvaggio. Ecco la prima epoca, in cui le cognizioni, o per dir meglio le opinioni, sono dannose.
La seconda è nel difficile e terribile passaggio dagli errori alla verità; dalla oscurità non conosciuta, alla luce. L’urto immenso degli errori utili ai pochi potenti, contro le verità utili ai molti deboli, l’avvicinamento ed il fermento delle passioni che si destano in quella occasione, fanno infiniti mali alla misera umanità. Chiunque riflette sulle storie, le quali dopo certi intervalli di tempo si rassomigliano quanto alle epoche principali, vi troverà più volte una generazione intera sacrificata alla felicità di quelle che le succedono, nel luttuoso ma necessario passaggio dalle tenebre della ignoranza alla luce della filosofia, e dalla tirannìa alla libertà, che ne sono le conseguenze. Ma quando, calmati gli animi, ed estinto l’incendio che ha purgata la nazione dai mali che la opprimono, la verità, i cui progressi prima son lenti, e poi accelerati, siede compagna su i troni de’ monarchi, ed ha culto ed ara nei parlamenti delle repubbliche, chi potrà mai asserire che la luce che illumina la moltitudine sia più dannosa delle tenebre, e che i veri e semplici rapporti delle cose, ben conosciuti dagli uomini, lor sien funesti?
Se la cieca ignoranza è meno fatale che il mediocre e confuso sapere, poichè questo aggiunge ai mali della prima quelli dell’errore, inevitabile da chi ha una vista ristretta al di qua dei confini del vero, l’uomo illuminato è il dono più prezioso che faccia alla nazione ed a se stesso il sovrano, costituendolo depositario e custode delle sante leggi. Avvezzo a vedere la verità, e a non temerla, privo della maggior parte dei bisogni dell’opinione, non mai abbastanza soddisfatti, che mettono al cimento la virtù della maggior parte degli uomini, assuefatto a contemplare l’umanità dai punti di vista più elevati, agli occhi suoi la propria nazione diventa una famiglia di uomini fratelli, e la distanza dei grandi al popolo gli par tanto minore, quanto è maggiore la massa della umanità che ha avanti gli occhi. I filosofi acquistano bisogni e interessi non conosciuti dai volgari, quello principalmente di non ismentire nella pubblica luce i principj predicati nella oscurità, ed acquistano l’abitudine di amare la verità per se stessa. Una scelta di uomini tali forma la felicità di una nazione; ma felicità momentanea, se le buone leggi non ne aumentino talmente il numero, che scemino la probabilità sempre grande di una cattiva elezione.
Un altro mezzo di prevenir i delitti si è d’interessare il consesso esecutore delle leggi, piuttosto alla osservanza di esse che alla corruzione. Quanto maggiore è il numero, che lo compone, tanto è meno pericolosa l’usurpazione sulle leggi, perchè la venalità è più difficile tra’ membri che si osservano tra di loro, e sono tanto meno interessati ad accrescere la propria autorità, quanto minore ne è la porzione che a ciascuno ne toccherebbe, massimamente paragonata col pericolo dell’intrapresa. Se il sovrano coll’apparecchio, e colla pompa, coll’austerità degli editti, col non permettere le giuste e le ingiuste querele di chi si crede oppresso, avvezzerà i sudditi a temere più i magistrati, che le leggi, essi profitteranno più di questo timore, di quello che non ne guadagni la propria e pubblica sicurezza.
Un altro mezzo di prevenire i delitti è quello di ricompensare la virtù. Su di questo proposito osservo un silenzio universale nelle leggi di tutte le nazioni del dì d’oggi. Se i premj proposti dalle Accademie ai discuopritori delle utili verità hanno moltiplicato e le cognizioni e i buoni libri; perchè i premj distribuiti dalla benefica mano del sovrano non moltiplicherebbero altresì le azioni virtuose? La moneta dell’onore è sempre inesausta, e fruttifera nelle mani del saggio distributore.
Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l’educazione; oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo, perchè non sia sempre, fino ai più remoti secoli della pubblica felicità, un campo sterile e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand’uomo, che illumina l’umanità che lo perseguita, ha fatto vedere al minuto quali sieno le principali massime di educazione veramente utili agli uomini; cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti, che nella scelta e precisione di essi; nel sostituire gli originali alle copie nei fenomeni sì morali che fisici, che il caso, o l’industria presenta ai novelli animi dei giovani; nello spingere alla virtù per la facile strada del sentimento, e nel deviarli dal male per la via infallibile della necessità e dell’inconveniente, e non colla incerta del comando, che non ottiene che una simulata e momentanea ubbidienza.