Degli edifizii/Libro terzo/Capo I
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Traduzione dal greco di Giuseppe Compagnoni (1828)
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CAPO PRIMO.
Così come nell’antecedente libro esposi, Giustiniano Augusto con varie opere assicurò l’Oriente. E poscia che incominciai a descrivere tante fortificazioni fatte sulla frontiera romana che guarda la Persia, stimo conveniente passare di là agli Armeni, i quali abitano nella Persia dalla città di Amida sino alla seconda Teodosiopoli, e disponendomi ad accennare gli edifizii di quella plaga, parmi conveniente premettere in che modo l’Imperadore gli Armeni abbia tratti a quella sicurezza, di che godono costantemente, quando prima erano in sommo pericolo. Imperciocchè non tanto con edifizii, ma con molti altri provvedimenti egli mise in salvo questi sudditi, siccome in appresso dirò. Ma debbesi prendere principio da più alto ragionamento.
Una volta l’Armenia avea un re di sua nazione, siccome l’antichissima storia testifica. Dopo che Alessandro il Macedone levò di mezzo il re de’ Persiani, questi stettero fermi sotto il giogo straniero; ma i Parti ribellaronsi ai Macedoni, ed avendoli vinti, li cacciarono, e stesero la loro dominazione fino al fiume Tigri. I Persiani di poi furono soggetti ai Parti per cinquecento anni, sino cioè al tempo, in cui Alessandro figliuolo di Mamnea, tenne il romano Impero. Allora uno dei re parti costituì suo fratello Arsace re degli Armeni, siccome la storia di questi riferisce. Nè credasi già che gli Arsacidi fossero originarj di Armenia. Bensì per cinque secoli mantennero pacifici la parentela colla famiglia che regnava in Persia. Il re degli Armeni risiedeva nell’Armenia maggiore fin da quando fu suddito dell’imperadore romano. Poscia accadde che uno di que’ re, Arsace di nome, avendo due figliuoli, Tigrane ed Arsace, per testamento li dichiarò entrambi successori nel regno, avendo ad ognuno assegnata, ma non eguale, la sua porzione; poichè a Tigrane ne assegnò una quattro volte maggiore. Fatta questa disposizione il padre dei due principi mancò di vita; e il figliuolo Arsace indispettito di vedersi in peggior condizione del fratello, ricorse all’imperadore romano, sperando che per tal mezzo lo avrebbe disturbato dal regno, e renduta nulla la indiscreta disposizione del padre. Era a quel tempo imperadore romano Teodosio, figliuolo di Arcadio, ancora fanciullo, la cui potenza Tigrane temendo, pensò di dare sè stesso e il regno a’Persiani, preferendo di vivere da privato presso loro, piuttosto che comporsi col fratello, e di buon animo regnare sull’Armenia insieme. Arsace anch’egli temendo tradimento per parte del fratello e de’ Persiani, rinunciò al romano imperadore il suo regno con certi patti, che io ho riferiti nei libri delle guerre. Per qualche tempo Romani e Persiani contrastarono fra loro per l’Armenia: se non che infine convennero, che questi si ritenessero la parte di Tigrane, e quelli la parte di Arsace; e ne fu fatto istromento nelle forme. Da quel tempo in poi sempre l’imperadore romano mise a comandare agli Armeni chi e quando più gli fosse a grado; e questo governatore anche al tempo nostro chiamavasi Conte.
Ma come l’autorità di questo magistrato non bastava a respingere le irruzioni de’ nemici, perchè mancante dell’appoggio di forze militari, Giustiniano Augusto considerando che così mal tenuta l’Armenia era in continuo pericolo, e poteva facilmente venire occupata dai Barbari, toltone via quel magistrato, diede agli Armeni un maestro della Milizia, provveduto di un buon numero di soldati, con cui potesse respingere le aggressioni nemiche. Così fece dell’Armenia detta maggiore. Dell’altra poi che dall’Eufrate si stende sino ad Amida, aveano il governo cinque satrapi, che e godevano a vita, ed erano soliti ottenerlo per diritto ereditario, dall’imperatore romano soltanto ricevendone gli ornamenti distintivi, che io verrò qui indicando, poichè dagli uomini che verranno, non vedrannosi più. Era primieramente una clamide di lana, non già di pecora, ma tratta dal mare, perchè tolta da crostacei, volgarmente detti pinne, sulli quali nasce. Quella veste purpurea avea ricamata in oro la parte, nella quale si suole stringere e tenere unita; e alla sommità della clamide era una fibbia d’oro, entro cui era incassata una pietra preziosa, e dalla quale pendevano tre giacinti raccomandati a tre catenelle di oro anch’esse. Una tunica di seta era vagamente sparsa dappertutto di chiodi d’oro, o come volgarmente si dice, di piume. I calzari, alti sino al ginocchio, erano di carico rosso colore: ornamento a nissuno permesso fuori che all’imperatore romano. Ma nè il re d’Armenia, nè i satrapi ebbero mai ausiliarj soldati romani, e facevano la guerra colle proprie forze.
Indi poi, regnando Zenone, avendo alcuni satrapi apertamente prese contro l’imperadore le parti d’Illo e Leonzio, che s’erano fatti tiranni, quel principe, caduti entrambi in sue mani, permise bensì che uno dei satrapi, il quale avea un piccolo Stato nella Relabitina, continuasse a godere del suo grado; ma in quanto agli altri, spogliatili tutti della pristina autorità, non volle che più avessero il governo per diritto ereditario; e stabilì che in avvenire succedesse nella dignità quegli, qualunque fosse che più andasse a genio dell’imperadore, come soleasi praticare degli altri magistrati dell’Impero romano: nè a questi pure erano date milizie romane, ma secondo l’antica costumanza tenevano presso di sè alquanti Armeni: onde non aveano forze da opporre agli assalti nemici. Le quali cose considerando Giustiniano Augusto, cacciati i satrapi, prepose a quella nazione due così chiamati Duchi, ai quali diede varii corpi di milizia romana per custodire i confini dell’Impero; e fabbricò loro luoghi forti, come or ora sono per dire.