Degli edifizii/Libro sesto/Capo VI
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Traduzione dal greco di Giuseppe Compagnoni (1828)
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CAPO VI.
Nella provincia Bizacena v’ha Adrumeto, anticamente grande e popolata città; e per essere ivi sopra le altre ampia e splendida, era condecorata del grado e titolo di metropoli. I Vandali ne aveano distrutto totalmente le mura, onde non potesse ritenersi dai Romani; ed era perciò esposta alle incursioni de’ Mauri. Quegli Africani, che vi soggiornavano, volendo per quanto potevano, provvedere alla loro sicurezza, rinforzate, ove era bisogno, le pareti delle case, queste aveano attaccate le une alle altre: onde in tal modo resistendo agli assalitori difendevansi con dubbia speranza e con pericolo. E certamente la loro speranza era attaccata a un debil filo; e come dicesi, si sostenevano sopra una sola gamba, perciocchè quando i Mauri li assaltavano, i Vandali non si degnavano di dar loro il minimo soccorso. All’incontro quando Giustiniano Augusto ebbe richiamata l’Africa sotto la sua dominazione, avendo cinta quella città di fortissime mura, e provveduta di buon presidio, quegli abitanti liberò dalla paura di nemici di qualunque fatta, e li rendè ad ogni modo sicuri. Perciò anche oggi chiamano la loro città Giustiniana, così corrispondendo riconoscenti al principe che li ha conservati: null’altro avendo essi, null’altro desiderando egli in questa gara di beneficenza e di gratitudine.
Sul littorale bizaceno era un luogo detto dagli indigeni Caputuada. Colà parimente approdò l’armata dell’imperadore per invadere l’Africa nella spedizione che si fece contra Gelimero e i Vandali; ed ivi Dio mostrò la sua benignità verso l’Augusto con quel mirabil fatto, di cui parlai nella Storia delle Guerre. Imperciocchè essendo il paese secco, e l’esercito romano afflitto da carestia d’acqua, dalla terra sino a quel giorno stata aridissima, scaturì una fonte, dove i soldati piantavano i loro trinceramenti: perciocchè mentre essi scavavano il suolo, sgorgò fuori quella fonte, e la terra si spogliò del nativo squallore, e mutata natura si umettò di dolce acqua. Perciò ivi poi comodamente piantarono gli steccati; ivi passarono la notte; e il giorno seguente marciarono pronti alla battaglia, e, in una parola, riacquistarono l’Africa. Adunque l’imperador Giustiniano, al cui volere cessano tutte le maggiori difficoltà, onde lasciare un monumento che attestasse il divin favore, ideò di fondare in quel luogo una città, che con buone fortificazioni rendè valida contro ogni attentato nemico, e splendidissima per ogni genere di egregii stabilimenti. E alla idea seguì tosto la esecuzione. La città si edificò colle sue mura: ad un tratto mutò faccia la campagna: i coloni si misero in condizione cittadinesca; e non più di cose rustiche si intrattengono, ma di urbani officii, veggendosi ogni giorno frequentare il foro, deliberare nelle assemblee intorno alle cose loro necessarie, avere mercati e fiere; e nulla omettere che alla dignità di una città appartenga.
Tali cose fece Giustiniano sulla spiaggia marittima della Bizacena. Ne’ luoghi poi mediterranei, sui confini della provincia, ove abitano i barbari Mauri, oppose loro propugnacoli validissimi; così che non possono più fare scorrerie sulle terre dell’Impero, avendo munite di eccellenti fortificazioni le città del confine, Macunca, Telepte, e Cululi, non meno che il castello dagl’indigeni chiamato Aumetera; e in tutti codesti luoghi collocò buone guarnigioni.