Degli edifizii/Libro quinto/Capo IV
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Traduzione dal greco di Giuseppe Compagnoni (1828)
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CAPO IV.
È in Gallazia un fiume dagl’indigeni chiamato Siberi, prossimo ai Sicei, e lontano dalla banda di levante da Giuliopoli dieci miglia. Questo fiume, solito a gonfiarsi improvvisamente, annegava molti viandanti: per lo che avvisatone l’Imperadore, rimediò al male facendovi un ponte, saldissimo di costruzione, e capace a sostenere le piene; e fabbricò eziandio al fianco orientale di quel ponte un muro a guisa di fortalizio, che i periti dell’arte chiamano promachon. All’occidente poi eresse un tempio, che nell’inverno fosse di ricovero ai passeggieri. Quel fiume batteva le mura di Giuliopoli, e le scuoteva fortemente, passando alla parte occidentale; il che l’Imperadore gli vietò di più fare, avendo eretta d’innanzi alle mura una mole di non meno di cinquecento piedi; e così preservando la città, vi aggiunse anche una notabile fortificazione.
In Cappadocia poi fece le seguenti cose. Ivi Cesarea, grandissima città, e da’ tempi antichi popolata, era cinta di mura, le quali per la troppa estensione del loro circuito rimanendo senza difesa, potevano espugnarsi facilmente; perciocchè un grande spazio inutile comprendevano; e quella soverchia ampiezza dava facile adito agli assalitori. Avendo il fondatore di quella città trovato il luogo pieno di monticelli, per lungo intervallo tra essi distanti, volle comprenderli entro il circuito delle mura, perchè non ne traessero vantaggio quelli che volessero assediar la città; ma intendendo a darle sicurezza, per contrario le avea preparato gran pericolo. Erano in quel circuito parecchi campi lavorati, ed orti, e rupi, e pascoli: ne’ quali spazii, nemmeno in appresso i cittadini pensarono di alzare alcun edifizio; sicchè l’aspetto del luogo rimase qual era da prima; e se in alcuna parte pur sonvisi alzate case, esse rimasero perfettamente isolate, ed escluse da ogni vicinato. Nè poi i soldati posti alla custodia delle mura bastavano al bisogno; nè i cittadini potevano invigilare sopra tanto terreno; e per questo vivevano in continuo timore, parendo loro così di non avere riparo di mura. Finalmente l’imperadore Giustiniano, levata una parte di quelle mura in niun modo necessaria, restrinse la fortificazione della città ad essere veramente sicura ed inespugnabile: il che poi compì mettendovi un conveniente presidio. E di questo modo coprì da ogni pericolo contro aggressori Cesarea di Cappadocia.
In Cappadocia pure era Moseco, castello posto in pianura, e sì debole e guasto, che in parte era già rovinato, e in parte minacciava d’esserlo ad ogn’istante. Giustiniano Augusto lo fece distruggere tutto quanto; e in un rialto sì scosceso da non potervi salire nemico, dove quel vecchio castello guardava a ponente, costruì un fortissimo muro; e molti tempii, e spedali, e bagni pubblici ivi fabbricò; nè vi lasciò mancare alcuna di quelle cose, che distinguono una città. Onde è avvenuto, che questa surse alla dignità di metropoli, col quale vocabolo i Romani indicano la città primaria di un popolo. Queste cose egli fece in Cappadocia.