Decameron/Giornata prima/Conclusione

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Giornata prima - Novella decima Giornata seconda

[p. 66 modifica]Giá era il sole inchinato al vespro ed in gran parte il caldo diminuito, quando le novelle delle giovani donne e de’ tre giovani si trovarono esser finite; per la qual cosa la loro reina piacevolemente disse: — Omai, care compagne, niuna cosa resta piú a fare al mio reggimento per la presente giornata, se non darvi reina nuova la quale di quella che è avvenire, secondo il suo giudicio, la sua vita e la nostra ad onesto diletto disponga; e quantunque il dí paia di qui alla notte durare, per ciò che [p. 67 modifica]chi alquanto non prende di tempo avanti non pare che ben si possa provvedere per l’avvenire, ed acciò che quello che la reina nuova dilibererá esser per domattina opportuno si possa preparare, a questa ora giudico doversi le seguenti giornate incominciare. E per ciò, a reverenza di Colui a cui tutte le cose vivono e consolazione di noi, per questa seconda giornata Filomena, discretissima giovane, reina guiderá il nostro regno. — E cosí detto, in piè levatasi e trattasi la ghirlanda dell’alloro, a lei reverente la mise, la quale essa prima ed appresso tutte l’altre ed i giovani similemente salutaron come reina, ed alla sua signoria piacevolmente s’offersero. Filomena, alquanto per vergogna arrossata, veggendosi coronata del regno e ricordandosi delle parole poco avanti dette da Pampinea, acciò che milensa non paresse, ripreso l’ardire, primieramente gli ufici dati da Pampinea riconfermò, e dispose quello che per la seguente mattina e per la futura cena far si dovesse, quivi dimorando dove erano; ed appresso cosí cominciò a parlare:

Carissime compagne, quantunque Pampinea, per sua cortesia piú che per mia vertú, m’abbia di voi tutte fatta reina, non sono io per ciò disposta nella forma del nostro vivere a dover solamente il mio giudicio seguire, ma col mio il vostro insieme; ed acciò che quello che a me di far pare conosciate, e per conseguente aggiugnere e menomar possiate a vostro piacere, con poche parole ve l’intendo dimostrare. Se io ho ben riguardato oggi alle maniere da Pampinea tenute, egli le mi pare avere parimente laudevoli e dilettevoli conosciute, e per ciò, infino a tanto che elle o per troppa continuanza o per altra cagione non ci divenisser noiose, quelle non giudico da mutare. Dato adunque ordine a quello che abbiamo giá a fare cominciato, quinci levatici, alquanto n’andrem sollazzando, e come sole sará per andar sotto, ceneremo per lo fresco, e dopo alcune canzonette ed altri sollazzi sará ben fatto l’andarsi a dormire. Domattina, per lo fresco levatici, similmente in alcuna parte n’andremo sollazzando come a ciascuno sará piú a grado di fare, e come oggi avem fatto, cosí all’ora debita torneremo a mangiare, balleremo, e da dormir levatici, come oggi stati [p. 68 modifica]siamo, qui al novellare torneremo, nel quale mi par grandissima parte di piacere e d’utilitá similmente consistere. È il vero che quello che Pampinea non poté fare, per l’esser tardi eletta al reggimento, io il voglio cominciare a fare, cioè a ristrignere dentro ad alcun termine quello di che dobbiamo novellare e davanti mostrarlovi, acciò che ciascuno abbia spazio di poter pensare ad alcuna bella novella sopra la data proposta contare; la quale, quando questo vi piaccia, sia questa, che, con ciò sia cosa che dal principio del mondo gli uomini sieno stati da diversi casi della fortuna menati, e saranno infino alla fine, ciascun debba dire sopra questo: chi, da diverse cose infestato, sia oltre alla sua speranza riuscito a lieto fine. — Le donne e gli uomini parimente tutti questo ordine commendarono, e quello dissero da seguire; Dioneo solamente, tutti gli altri tacendo giá, disse: — Madonna, come tutti questi altri hanno detto, cosí dico io, sommamente esser piacevole e commendabile l’ordine dato da voi: ma di spezial grazia vi cheggio un dono, il quale voglio che mi sia confermato per infino a tanto che la nostra compagnia durerá; il quale è questo, che io a questa legge non sia costretto di dover dire novella secondo la proposta data, se io non vorrò, ma qual piú di dire mi piacerá. Ed acciò che alcun non creda che io questa grazia voglia sí come uomo che delle novelle non abbia alle mani, infino da ora son contento d’esser sempre l’ultimo che ragioni. — La reina, la quale lui e sollazzevole uomo e festevole conoscea, ed ottimamente s’avvisò, questo lui non chieder se non per dovere la brigata, se stanca fosse del ragionare, rallegrare con alcuna novella da ridere, col consentimento degli altri lietamente la grazia gli fece; e da seder levatasi, verso un rivo d’acqua chiarissima il quale d’una montagnetta discendeva in una valle ombrosa da molti alberi, tra vive pietre e verdi erbette, con lento passo se n’andarono. Quivi, scalze e con le braccia nude per l’acqua andando, cominciarono a prendere vari diletti tra se medesime. Ed appressandosi l’ora della cena, verso il palagio tornatesi, con diletto cenarono; dopo la qual cena, fatti venir gli strumenti, comandò la reina che una danza fosse presa, [p. 69 modifica]e quella menando la Lauretta, Emilia cantasse una canzone, dal leuto di Dioneo aiutata. Per lo qual comandamento Lauretta prestamente prese una danza e quella menò, cantando Emilia la seguente canzone amorosamente:

     Io son sí vaga della mia bellezza,
che d’altro amor giá mai
non curerò né credo aver vaghezza.
     Io veggio in quella, ognora ch’io mi specchio,
quel ben che fa contento lo ’ntelletto:
né accidente nuovo o pensier vecchio
mi può privar di sí caro diletto;
quale altro adunque piacevole oggetto
potrei veder giá mai
che mi mettesse in cuor nuova vaghezza?
     Non fugge questo ben, qualor disio
di rimirarlo in mia consolazione,
anzi si fa incontro al piacer mio
tanto soave a sentir, che sermone
dir nol poria né prendere intenzione
d’alcun mortal giá mai
che non ardesse di cotal vaghezza.
     Ed io, che ciascuna ora piú m’accendo,
quanto piú fisi tengo gli occhi in esso,
tutta mi dono a lui, tutta mi rendo,
gustando giá di ciò ch’el m’ha promesso;
e maggior gioia spero piú da presso,
sí fatta, che giá mai
simil non si sentí qui da vaghezza.

Questa ballatetta finita, alla qual tutti lietamente avean risposto, ancor che alcuni molto alle parole di quella pensar facesse, dopo alcune altre carolette fatte, essendo giá una particella della brieve notte passata, piacque alla reina di dar fine alla prima giornata, e fatti torchi accender, comandò che ciascuno infino alla seguente mattina s’andasse a riposare; per che ciascuno, alla sua camera tornatosi, cosí fece.