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e quella menando la Lauretta, Emilia cantasse una canzone, dal leuto di Dioneo aiutata. Per lo qual comandamento Lauretta prestamente prese una danza e quella menò, cantando Emilia la seguente canzone amorosamente:

     Io son sí vaga della mia bellezza,
che d’altro amor giá mai
non curerò né credo aver vaghezza.
     Io veggio in quella, ognora ch’io mi specchio,
quel ben che fa contento lo ’ntelletto:
né accidente nuovo o pensier vecchio
mi può privar di sí caro diletto;
quale altro adunque piacevole oggetto
potrei veder giá mai
che mi mettesse in cuor nuova vaghezza?
     Non fugge questo ben, qualor disio
di rimirarlo in mia consolazione,
anzi si fa incontro al piacer mio
tanto soave a sentir, che sermone
dir nol poria né prendere intenzione
d’alcun mortal giá mai
che non ardesse di cotal vaghezza.
     Ed io, che ciascuna ora piú m’accendo,
quanto piú fisi tengo gli occhi in esso,
tutta mi dono a lui, tutta mi rendo,
gustando giá di ciò ch’el m’ha promesso;
e maggior gioia spero piú da presso,
sí fatta, che giá mai
simil non si sentí qui da vaghezza.

Questa ballatetta finita, alla qual tutti lietamente avean risposto, ancor che alcuni molto alle parole di quella pensar facesse, dopo alcune altre carolette fatte, essendo giá una particella della brieve notte passata, piacque alla reina di dar fine alla prima giornata, e fatti torchi accender, comandò che ciascuno infino alla seguente mattina s’andasse a riposare; per che ciascuno, alla sua camera tornatosi, cosí fece.