Dalle dita al calcolatore/XIV/6

6. Quale futuro?

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XIV - 5 Cronologia

[p. 269 modifica]6. Quale futuro?

A questo punto, il problema che si pone è riassumibile in questi termini: è necessario che gli esseri umani, nel futuro prossimo, imparino a usare correttamente la potenza di cui dispongono, cercando di governare la realtà verso una riduzione delle tensioni.

L’obiettivo può essere conseguito solo attraverso un intervento che sia nel contempo culturale e pedagogico: è necessario elaborare in tempi brevissimi, non più di alcuni decenni, una nuova cultura, che si adatti alle nuove condizioni, e diffonderla attraverso un’opera educativa immane.

Se i Sumeri hanno saputo svincolarsi dal contingente per arrivare alla nozione astratta di quantità, indipendente dagli oggetti che la compongono, noi oggi possiamo sviluppare un ragionamento che non sia più vincolato al singolo problema, ma consideri categorie di problemi raggruppabili in un unico algoritmo risolutivo. Per fare un esempio banale, possiamo dire che non ci interessa più sapere che tre più due fa cinque, ma che due numeri qualsiasi, sommati tra di loro, danno un risultato che non cambia invertendo l’ordine degli addendi.

Bisogna ricordare che furono proprio i Sumeri, alle prese con un problema abbastanza simile al nostro, a istituire le prime scuole di cui si abbia notizia certa, e questa è un’indicazione preziosa.

Inoltre, i Sumeri ebbero a disposizione per la loro opera un periodo di tempo valutabile intorno al millennio, mentre a noi sono concessi solo alcuni [p. 270 modifica]decenni, se vogliamo ridurre al minimo le tensioni violente che stanno generandosi.

Il compito da assolvere è arduo: l’algebra, per esempio, ha alcuni secoli di vita, ma non è ancora entrata a far parte del comune bagaglio culturale; anche le persone che ne conoscono le regole difficilmente l’assumono come forma mentis.

Mentre ormai chiunque sa che è possibile risolvere un problema concreto ragionando sul suo modello numerico, solo pochi sanno operativamente, e non sul mero piano teorico, che è pure possibile una forma di ragionamento che concentri l’attenzione non sui numeri ma sui rapporti tra i dati di partenza; ciò accade perché nella vita quotidiana tale forma di pensiero non fornisce vantaggi rispetto al modo corrente di ragionare. La diffusione degli home-computer ha messo a disposizione uno strumento che permette di premiare la capacità di manipolare modelli algebrici della realtà. Ciò potrebbe essere la base materiale per una diffusione dei nuovi modelli cognitivi, la cui importanza sociale è pari a quella del saper leggere e scrivere.

Le capacità di astrazione richiedono tempo per potersi sviluppare, come hanno mostrato molti studi, principalmente quelli di Piaget. Il bambino, se stimolato troppo precocemente, riesce a simulare un apprendimento perché dispone di capacità mnemoniche fantastiche, ma esse verranno sviluppate a detrimento delle possibilità future.

Il secondo aspetto negativo di una stimolazione troppo precoce dei bambini all’apprendimento è dato dal fatto che, passata la prima fase, per così dire “produttivistica”, il bambino che ha imparato a tre anni a leggere e scrivere e che dall’età di due recita i numeri e le tabelline verrà immesso in una scuola che è rimasta praticamente a un’era precedente all’invenzione della pascalina.

Inoltre nella scansione dell’attività scolastica [p. 271 modifica]avviene un fenomeno di ribaltamento di modi e tempi: molti bambini arrivano alle elementari avendo “imparato” a scrivere alle materne, oppure quando entrano alle medie hanno già sentito spiegare le principali formule di geometria piana, compresa la dimostrazione della formula della superficie del trapezio.

Purtroppo, però, pochissimi di loro sanno cosa sia un numero, quale sia la differenza tra la misurazione e il calcolo di un’area, mentre nei casi più gravi possono addirittura mancare di alcune fondamentali capacità logiche, come la comprensione di alcune proprietà topologiche dello spazio, a causa della deprivazione che hanno subito sul piano motorio stando fermi per ore davanti al televisore.

Lungi dal capire realmente i temi di cui peraltro discutono, essi accumulano nozioni sterili e slegate fra di loro, non comprendendole in profondità ma aggiungendole a quelle che ricevono, in modo del tutto acritico, dalla TV.

Non vogliamo, dicendo questo, dar l’impressione di unirci a quanti lanciano vecchi anatemi contro la televisione: si tratta senz’altro di un importante mezzo di comunicazione, ma è appunto la sua essenziale funzione pedagogica a dover essere evidenziata più di quanto non sia attualmente.

Oggi i ragazzi, più che di ricevere informazioni, hanno bisogno di realizzare esperienze formative. Nella situazione attuale, si formano persone che, invece di disporre di nuove capacità logiche e di pensiero, non dispongono appieno nemmeno di quelle usuali.

La formazione delle capacità di pensiero va affrontata ricercando e costruendo itinerari formativi che da un canto riassumano tutte le tappe dello sviluppo del pensiero dell’uomo, senza “bruciarle”, e dall’altro permettano precocemente approcci produttivi alle tecnologie avanzate, in settori limitati e controllabili.

Ad esempio, se una scuola materna facesse [p. 272 modifica]utilizzare ai bambini una certa quantità di videogiochi, opportunamente selezionati, ciò sarebbe molto utile. Lo stesso si potrebbe dire di una scuola elementare che usasse i calcolatori come strumenti di scrittura nella fase in cui i bambini debbono accostarsi a questa attività; che inoltre, invece di insegnare le formule astrattamente, utilizzasse programmi adatti per mostrare graficamente come si comportano alcuni enti matematici, guidando i ragazzi nella riflessione su ciò che hanno visto; o che infine, con il LOGO, li abituasse a riflettere realmente sui problemi generali.

Sarebbe anche importante che i bambini fossero guidati, con particolare cura, ad apprendere quelle forme di ragionamento che non sono supportate dalle nuove macchine, come il ragionamento continuo o analogico.

Si potrebbe continuare così per tutti i livelli di scuola, e scrivere un nuovo libro, ma non è questo il luogo nel quale affrontare una trattazione approfondita del tema; basti aver chiarito che sia le famiglie sia le strutture pubbliche sono, in questo momento, poco attrezzate al difficile e importantissimo compito dell’educazione dei ragazzi, e questo è un problema che coinvolge tutti i paesi: è un problema mondiale.

Forse, nonostante tutto, è possibile ottenere che il lento adeguarsi delle strutture culturali, della sensibilità umana e dell’equilibrio emotivo possano concludersi con il raggiungimento di un livello più avanzato, come è successo ai Sumeri. Ma non possiamo nasconderci che sono anche possibili soluzioni completamente diverse...